Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Appunti. Il denaro in politica e il pericolo dei “partiti ombra”.

super-pac-cartoonSe limiti o regoli un certo uso del denaro privato in politica, non è che la sua influenza diminuisca o tanto meno svanisca. Semplicemente prende altre strade, si fa sentire in altri modi, magari oscuri, non immediatamente visibili. E’ una questione di idraulica del finanziamento politico. Se regoli le attività delle organizzazioni formali di partito, non è che l’influenza dei partiti diminuisca. Semplicemente le loro funzioni si esercitano per altre vie, si trasferiscono altrove. E’ una questione di idraulica del potere dei partiti. Insomma, se ci sono in giro risorse finanziarie e di potere, queste, come una qualunque sostanza liquida, trovano i canali giusti per irrorare il sistema, per arrivare a destinazione, per farsi valere.

Parlando di Stati Uniti: se limiti i contributi diretti ai partiti, i donatori più ricchi spenderanno i loro soldi in organizzazioni indipendenti, o almeno apparentemente tali, che faranno campagne indirette. Se non puoi finanziare con generosità i Democratici o i Repubblicani, finanzierai una associazione politica o un Political Action Committee o, se è davvero grosso, un super-PAC. Se poi consenti alle organizzazioni indipendenti di fare vera e propria attività elettorale diretta, invitando a votare o a non votare per questo o per quello, ecco che avrai trasferito una importante funzione pubblica dei partiti a gruppi privati, a veri e propri shadow parties, “partiti ombra” potenzialmente privi di controllo.

La sentenza della Corte suprema del gennaio 2010, Citizens United v. Federal Election Commission, ha segnato una svolta importante in questa storia, appunto perché ha aperto un nuovo canale al libero flusso e alla circolazione del denaro e del potere. La sentenza dice che il denaro è un mezzo di espressione della libertà di parola, che regolarne l’uso viola un diritto sancito dal Primo emendamento della Costituzione, e che godono di quel diritto non solo gli individui ma anche le associazioni di individui. Quindi i gruppi no-profit, i sindacati e le grandi corporations, equiparati a persone, possono spendere a piacimento in “comunicazione elettorale” pro o contro chi a loro piaccia.

“Corporations are people”, disse famosamente Mitt Romney per riassumere la cosa. Per onestà bisogna aggiungere: “Unions are people” – eccetera.

Il problema principale di questa sentenza, sostiene Heather K. Gerken, docente di diritto a Yale, non è tanto che ha favorito le spese pazze elettorali, quanto che ne ha cambiato la natura e quindi, chissà, gli effetti. Una precedente sentenza del 2011 (Buckley v. Valeo) aveva fatto una distinzione fra “contributi”, cioè il denaro dato direttamente alle organizzazioni elettorali, e “spese”, cioè il denaro speso durante una campagna in maniera indipendente dalla campagna stessa, per esempio da un PAC o super-PAC. Aveva quindi mantenuto un tetto legale ai primi (tetto tuttora esistente) ma aveva liberalizzato le seconde. Per i gruppi privati era possibile spendere senza limiti in messaggi politici, purché essi non invitassero esplicitamente a votare a favore o contro qualcuno. Bisognava pesare bene le parole, soprattutto nei messaggi ad personam.

Gli esempi che fa Gerken sono questi. Messaggio corretto, perché politico: “Il Senatore X picchia i cuccioli – chiama il Senatore X e digli di smettere”. Messaggio vietato perché elettorale: “Il Senatore X picchia i cuccioli – non votare per il picchia-cuccioli Senatore X”.

La sentenza Citizens United ha abolito la distinzione fra i due tipi di messaggio, non è più necessario pesare bene le parole. Fra l’altro, legando la comunicazione elettorale dei gruppi privati all’esercizio della libertà di parola garantito dalla Costituzione, ha ingabbiato il potere del Congresso o degli Stati di regolamentare la faccenda. Ora il denaro privato può entrare nell’arena elettorale in maniera diretta a favore di un candidato. Purché si organizzi per mantenere la finzione dell’indipendenza formale (il non-coordinamento) rispetto alla campagna del candidato stesso. E che si tratti di una finzione, è ovvio e noto a tutti. I PAC hanno spesso sede negli stessi uffici dei candidati, usano gli stessi slogan elettorali, i loro manager sono parte delle stesse elite politiche e di partito, c’è un continuo passaggio di personale, una porta girevole, da un settore all’altro.

In una memorabile puntata dello show televisivo The Colbert Report, qualche anno fa, Stephen Colbert mostrò con l’aiuto di Jon Stewart come funzionava la cosa. Con effetti comici e filologicamente precisi.

Ora non è più questione solo di PAC, conosciuti tecnicamente come “comitati 527” dal numero della sezione dell’Internal Revenue Code che li prevede (godono di esenzioni fiscali): gruppi che non hanno limiti ai contributi individuali dei loro donatori né alle spese che possono fare, ma che almeno devono rendere pubblici i donatori e i bilanci. Dopo il 2010, sono cresciuti i cosiddetti “comitati 501 (c) (4)”, previsti da un’altra sezione dell’IRC (godono anch’essi di esenzioni fiscali): gruppi che dovrebbero occuparsi di temi sociali e politici generali, fare informazione e lobby per una causa o una legge, e che ora possono entrare nella comunicazione elettorale diretta. Negli ultimi anni hanno superato in rilevanza finanziaria i già rilevanti PAC. E la loro caratteristica specifica è che non sono tenuti a rivelare chi li finanzia. Mancano insomma di trasparenza.

Accade così che il sistema dei partiti venga espropriato in alcune delle sue funzioni da gruppi che agiscono al di fuori della struttura formale dei partiti stessi. Gruppi senza controlli, alimentati da denaro irresponsabile e segreto, dark money. O almeno questo è il rischio paventato, questa è la principale preoccupazione di Gerken. Che dice: i partiti non sono istituzioni stabili, sono shape-shifters. I loro luoghi del potere possono cambiare, muoversi all’interno ma anche all’esterno. Quando la party leadership scopre che è molto più comodo (meno controllato e meno regolato) e più efficace fare fundraising e finanziare e condurre le campagne elettorali tramite le associazioni private, è inevitabile che vi si trasferiscano in massa. Ma così facendo, di fatto, trasferiscono là anche i centri decisionali. Si formano quindi shadow parties più importanti dei partiti stessi.

Questo trasferimento ha, fra le tante, una conseguenza decisiva: la party leadership si trova a operare in una struttura separata rispetto allo zoccolo duro del partito. Si chiede Gerken: “Che cosa succede se il centro di gravità si sposta? Che cosa succede se le élite governano il partito ombra e la base più fedele del partito è abbandonata a se stessa nel guscio vuoto della struttura partitica formale? Che cosa succede se le cose davvero importanti accadono nel partito ombra, non nel partito formale?” I party faithful, dice Gerken (andando un po’ sul romantico), sono stati da una parte il tessuto connettivo fra la dirigenza del partito e l’elettorato generale; dall’altra, i guardiani dei dirigenti e dei rappresentanti eletti nelle istituzioni (che non si vendessero troppo ai big donors e ai big interests, che ci sono sempre stati). Rischiano ora di perdere questi ruoli, di essere emarginati.

E di essere e di sentirsi inutili.

Conclude Gerken: “Stiamo separando le elite di partito dai party faithful. Stiamo facendo sì che le elite di partito parlino agli interessi del denaro, e che i party faithful parlino al resto di noi. La rete sociale informale che una volta forniva un ponte fra questi mondi si sta lentamente smantellando”.

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Categorie:campagna elettorale, partiti

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