I presidenti “martiri” sono quelli che teniamo in buona considerazione, e che ci sembrano promettenti di promesse tragicamente interrotte. Presidenti che hanno lasciato an unfinished business in momenti storici drammatici. Presidenti di cui continuiamo a chiederci (inutilmente) che cosa avrebbero fatto se fossero sopravissuti. Non basta essere assassinati in carica per raggiungere questo status. Per dire: chi si ricorda di James Garfield, ucciso nel 1881 da un questuante deluso e un po’ bipolare. Garfield? E chi era? Chi commemora davvero William McKinley, il costruttore dell’impero coloniale americano, abbattuto a revolverate da un anarchico nel 1901; il suo successore, quel “maledetto cowboy” di Teddy Roosevelt, risultò abbastanza rumoroso, carismatico e ultra-imperialista da offuscarne il ricordo. Siamo invece affascinati da Abraham Lincoln, il “Capitano! mio Capitano!” di Walt Whitman. E da John Fitzgerald Kennedy.
In questo caso i martiri sono veramente tali, circondati da un’aura quasi religiosa. Negli Stati Uniti la figura di Kennedy fu accostata da qualcuno a quella di Gesù crocifisso. Lo fece il reverendo O.L. Holliday, un esponente della chiesa afro-americana, in un sermone intitolato appunto “The Assassination of President Kennedy and the Crucifixtion of Jesus”. Lo fece il folksinger radical Phil Ochs in una canzone anch’essa intitolata “The Crucifixtion” – dove Kennedy non è nominato, ma tutti capivano che si parlava del suo sacrificio. Non ho trovato immagini simili a quelle che, un secolo prima, avevano accompagnato la morte violenta di Lincoln, il 14 aprile 1865 – che era anche Good Friday, Venerdì Santo; immagini in cui il corpo del presidente viene assunto all’eternità celeste, accolto fra gli angeli dal padre della patria George Washington (legnoso come sempre, anche in cielo imbarazzato dall’intimità fisica). Ma qualche suggestione del genere, per Kennedy, mi sembra di coglierla nella Eternal Flame accesa sulla sua tomba al cimitero di Arlington.
Neanche gli italiani sfuggirono alle suggestioni religiose. Nell’Italia cattolica e, avrebbero detto i nazionalisti protestanti di un tempo, papista, il cattolico Kennedy fu accostato a papa Giovanni XXIII, il “papa buono” scomparso solo pochi mesi prima – e che, oggi lo sappiamo, è stato beatificato e sarà fatto santo. L’accostamento fu fatto subito sulle colonne dei giornali e in televisione, forse in qualche rapido libro, e colpì la fantasia popolare. Qui vado a braccio, mi fido dei ricordi personali. Ma trovo conferme in questa copertina di Walter Molino sulla Domenica del Corriere del dicembre 1963. E in una serie di prodotti dell’industria dei gadget e souvenir religiosi di massa, piatti e mattonelle di ceramica che sono certo di aver visto in case a me non estranee. Più tardi, dopo il suo assassinio nel 1968, alla coppia John e Giovanni si aggiunse anche Bobby, a formare una trinità. Erano tutti invocati come seminatori di pace nel mondo, missionari scomparsi troppo presto.
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