
Artist Kehinde Wiley at the unveiling of his sculpture “Rumors of War”, New York City, September 27, 2019 (Jackie Molloy for The Washington Post)
Alla Fondazione Cini a Venezia, come evento collaterale della Biennale d’arte che si apre in questi giorni, c’è la mostra “Kehinde Wiley: An Archeology of Silence”. Kehinde Wiley è un artista afro-americano nato a Los Angeles, figlio di un immigrato nigeriano, diventato notissimo presso il largo pubblico per aver dipinto il ritratto ufficiale di Barack Obama, una commissione per conto della National Portrait Gallery di Washington. Il ritratto è informale e coloratissimo, e si accompagna a quello della First Lady Michelle Obama, opera di Amy Sherald.
Wiley lavora sull’immagine dei corpi dei neri in Nord America ma anche nel resto del mondo. Colloca questi corpi (in genere giovani maschi afro-americani) all’interno di immagini, dipinti o sculture, rappresentative della grande storia dell’arte di origine europea. Usa come fonte di ispirazione i ritratti classici di nobili e aristocratici, uomini di potere in atteggiamenti eroici, sontuosi, pomposi. Insomma le cose degli Old Masters. Ha cominciato da studente, dice, facendo esercizi per impadronirsi delle loro tecniche pittoriche, passando quindi un sacco di tempo nei musei a guardare “ciccia bianca”. Poi ha pensato di mettere figure nere nelle “pose dei maestri coloniali, degli ex boss del Vecchio Mondo”, per vedere l’effetto che fa. L’effetto è straniante, suggerisce forse nuovi campi di dignità e potere?
Per accentuare l’effetto straniante, sottratto alla storia ma anche, forse, proiettato in un tempo utopico, Wiley dipinge fondali fuori contesto, decorativi, coloratissimi, rococò, tessuti africani, carta da parati. I maschi neri sono invece già con noi, del tutto contemporanei, hanno il look dell’oggi. E’ quello che succede anche nella serie intitolata “Rumors of War”, iniziata nel 2006 e centrata sulla tradizione dei ritratti equestri, dipinti di grandi dimensioni che esaltano ed estetizzano il potere della maschilità. La maschilità a cavallo, in genere piuttosto militarizzata. In questa serie, a prendere il posto dell’ufficiale ussaro di Géricault, del Napoleone che attraversa le Alpi di David, del principe Tommaso Francesco di Savoia Carignano di Van Dyck, ci sono giovanotti incontrati sulla 125th Street a Harlem, vestiti secondo le mode del posto, con un’aria di sfida. Sono loro i nuovi rumori di guerra?
Il culmine del progetto “Rumors of War” mette direttamente il dito nella piaga della memoria storica americana. E’ una gigantesca statua equestre in bronzo, alta più di 8 metri, che raffigura un giovane afro-americano a cavallo, in moderni abiti di strada, felpa, jeans (strappati sul ginocchio come si conviene), Nike e dreadlocks. La postura è ricalcata su quella del monumento equestre al generale confederato J.E.B. Stuart che ha ornato per un secolo la Monument Avenue di Richmond, Virginia, e che nel frattempo è stato rimosso. La statua è stata esposta per un po’ a Times Square, a New York, nell’autunno 2019. Una satira o critica della monumentalità sudista e razzista alla Via col vento? Un proclama di vittoria, visto che il generale Stuart non c’è più? L’annuncio hip-hop che qualcun altro aspira a salire in sella? E’ questo uno dei rumori di guerra?
E dunque, un monumento che è un ironico contro-monumento? Non proprio, direi. Dopo i tre mesi passati a Times Square, la grande statua equestre è ospitata in maniera permanente al Virginia Museum of Fine Arts, a Richmond. E d’accordo, Richmond è il luogo del delitto, ma un museo è un museo e non una pubblica piazza. Mentre è nella piazza di tutti che i monumenti, per esser tali, devono stare.
Se capisco bene, ora “Rumors of War” (un titolo che è diventato tanto più inquietante) è migrato insieme a una parte importante delle opere di Kehinde Wiley a Venezia, per qualche mese all’Isola di San Giorgio.
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