Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Biden incanta gli storici (e viceversa)

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Mentre c’è chi pensa a una prima provvisoria bozza della storia dell’amministrazione Trump  appena conclusa, l’attuale presidente sta pensando a quale sarà il suo posto nella storia a venire. Della storia Joe Biden ha un acuto senso anche perché ormai ne è lui stesso un pezzo e un testo, essendo entrato in Senato “120 anni fa”, dice scherzando (120 anni no, ma mezzo secolo fa sì). La vista lunga gli da l’opportunità di discutere pubblicamente dei problemi contemporanei che deve affrontare con il senso delle loro radici profonde e complesse, delle persistenze sistemiche che vengono dal passato (il che può anche essere un modo per sfuggire alle pressioni del presente, per trovare scuse all’inadeguatezza delle sue risposte – o magari no). La vista lunga gli suggerisce che ci sono pochi momenti nella vita di una persona e di un paese in cui si aprono serie possibilità di cambiamento, e che questo potrebbe esserne uno – per entrambi. In conferenza stampa dice e ripete, “Voglio cambiare paradigma”.

D’altra parte i collaboratori raccontano quanto ami la narrativa che si sta diffondendo secondo cui la sua presidenza sarà più audace, più capace di pensare in grande, più storicamente rilevante di quella di Barack Obama. E come dargli torto, giusta vanità di vecchio, e di ex second banana.

Scoop: un incontro riservato

Gli storici, Biden li ha consultati di persona. Uno scoop di Axios di qualche giorno fa ha rivelato che all’inizio di marzo il presidente ha avuto un incontro con un gruppo di loro, per un paio d’ore, alla Casa bianca, mascherine e distanziamento e tutto. C’è voluto uno scoop per saperlo perché l’incontro è stato tenuto riservato. 

Riservato ma non segreto, mi sembra, tanto che, sollecitata da una domanda dopo le rivelazioni di stampa, ne ha parlato liberamente la press secretary della Casa bianca, Jen Psaky Dicendo: “Vi dirò: i presidenti amano gli storici. Lo so perché – questo è il secondo presidente per cui lavoro [be’, troppo facile, il primo è stato Barack Obama, NdR]. E sapete, penso che sia importante imparare da ciò che ha funzionato e non ha funzionato nel passato e acquisire delle prospettive da chi lo studia. Così in effetti ha incontrato degli storici un paio di settimane fa. Non ho qui con me la lista dei nomi. Posso vedere se ci sono più dettagli che possiamo fornire. E davvero, l’idea era di avere una conversazione aperta sulle sfide che noi – che il paese deve affrontare e guardare indietro alla storia. E’ giusto un momento per prendersi una pausa e riflettere e usarlo come lezione per andare avanti”.

Chi c’era, e di cosa s’è parlato

Bene, la lista dei nomi è questa. L’incontro è stato organizzato da Jon Meacham, saggista storico e biografo di presidenti che di Biden è anche consigliere e un po’ speechwriter straordinario. Gli invitati erano importanti storici americanisti, indipendenti o accademici, tutti noti anche come commentatori di affari correnti (su giornali e cable news), più progressisti che conservatori, parecchi interessati alle relazioni razziali. C’erano i presidential historians Doris Kearns Goodwin e Michael Beschloss, il biografo Walter Isaacson, i docenti di studi afro-americani Eddie Glaude Jr. (Princeton) e Michael Eric Dyson (Vanderbilt University), le storiche Joanne Freeman di Yale, specialista di Alexander Hamilton, e Annette Gordon-Reed di Harvard, specialista di Thomas Jefferson. (Delle ultime due, la American Historical Association ci tiene a segnalare che sono autorevoli socie dell’associazione.)

Il fil rouge della conversazione sembra essere stato qualcosa del tipo: il presidente ha grandi progetti, vediamo che cosa dice la storia. Prevedibilmente s’è parlato molto di figure trasformative come Lincoln e soprattutto, più sul pezzo, Franklin D. Roosevelt e Lyndon Johnson. Su di loro Biden ha fatto molte domande, anche dettagliate. Era molto interessato alla questione della elasticità del potere presidenziale, la sua estensione e i suoi limiti, la velocità con cui può progettare e attuare riforme. Era molto interessato alla questione correlata della elasticità dell’opinione pubblica, la sua capacità di accettare cambiamenti, e con quanta velocità. E alla fine della sessione ha detto a un collaboratore, “Avrei potuto andare avanti un altro paio d’ore”. 

Voci dal sen fuggite

Fra i partecipanti, lo storico presidenziale Michael Beschloss sembra essere la gola profonda che ha informato Axios dell’incontro e dei suoi contenuti. Per il resto ho trovato solo un’altra testimonianza, quella di Michael Eric Dyson, lo studioso di storia e cultura afro-americana, fra l’altro fine esegeta di Malcolm X.  Che ha vuotato il sacco in una intervista televisiva con Lawrence O’Donnell di MSNBC, il 26 marzo scorso (qui il video).   

Dyson ricorda la “serata piuttosto straordinaria” passata alla Casa bianca con il presidente e i colleghi storici. Racconta di aver incontrato “uno dei più notevoli, uno dei più umili, uno dei più curiosi politici” che gli sia mai capitato. Capace di assorbire le osservazioni dei presenti e allo tempo tempo di impegnarli in una discussione seria e onesta su tutta la storia del paese, un orizzonte ampio, quasi un seminario universitario. Gli storici facevano le loro presentazioni, e dopo ciascuna di esse il presidente diceva la sua improvvisando domande penetranti che mostravano conoscenza sia della questione specifica che delle connessioni con i problemi d’oggi. Biden voleva discutere che cosa c’è da sapere per fare quello che vuole fare. Insomma, “l’uomo è un intellettuale di prim’ordine”. E in conclusione: “ti dirò Lawrence, è stato beautiful and refreshing… Mio dio, che ritorno in quell’ufficio ovale a una grandezza se non proprio jeffersoniana almeno lincolniana a un certo livello”.

Dyson è commovente nel suo entusiasmo, è ancora tutto eccitato, al diavolo la sobrietà (e un po’ al diavolo anche Lincoln).

Categorie:Americanismo, storiografia

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  1. Rassegna 30.03.21 | Stefano Ceccanti

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