“C’è un sacco di retorica dura, durissima, ma dietro le quinte ci sono centinaia di funzionari che stanno lavorando alla transizione. … Stanno rispettando tutte le scadenze. Il Presidential Transition Act indica una serie di tappe intermedie nei sei mesi precedenti le elezioni giù giù fino a Election Day. E per ora ognuna di esse è stata rispettata”.
Così ha detto il direttore del Center for Presidential Transition, un watchdog group, in una intervista del 1 ottobre scorso a PBS News. La transizione si sta già preparando, nel caso dovesse essere necessaria, cioè nel caso vincesse Joe Biden. Trump parla, ma una parte dei suoi uffici sta lavorando sodo per una eventuale successione. Una cosa sono le chiacchiere, che possono essere comunque pericolose, un’altra la realtà.
La transizione da una amministrazione all’altra, il trasferimento di poteri quando cambia l’inquilino della Casa Bianca, è una faccenda complicata e delicata. Può coinvolgere tutti i principali candidati alla presidenza, quando il presidente in carica non è rieleggibile, o soprattutto il principale candidato di opposizione come nel caso di quest’anno, quando c’è un incumbent che cerca la rielezione (e alla Casa Bianca già abita) e non ci sono in giro terzi candidati rilevanti. In genere si ritiene che ciò riguardi solo il periodo fra Election Day e il giorno dell’inaugurazione, i due mesi e mezzo che separarano l’inizio di novembre dal 20 gennaio. Ma non è così, in effetti tutto comincia ben prima. E da mezzo secolo è regolato dalla legge.
Ci pensano il Presidential Transition Act del 1963 e i numerosi aggiornamenti successivi, gli ultimi del 2019, a dettare tempi e modi delle procedure. Nell’anno elettorale, fin dalla primavera, tutte le agenzie federali sono tenute a preparare dei piani per facilitare un eventuale passaggio di consegne, in modo che ciò avvenga con velocità, efficienza, senza troppe scosse. All’interno dell’amministrazione in carica si forma un Presidential Transition Team e si scelgono i funzionari incaricati di incontrare e assistere le loro controparti – così come sono indicate dai transition teams creati dai candidati presidenziali in gara.
Quest’anno le operazioni si sono avviate alla fine dello scorso aprile. Entro metà settembre ogni agenzia ha elaborato i piani di successione per ogni posto senior non di carriera al suo interno. Nel frattempo Biden ha cominciato ad avere la protezione del Secret Service (ce l’ha dal 17 marzo, quando sembrò essere il sicuro vincitore delle primarie). Quando la sua candidatura è diventata ufficiale, cioè dopo il congresso di partito in agosto, ha cominciato a ricevere briefing riservati su come va il mondo. E il suo transition team, organizzato a giugno, ha avuto diritto a uffici e servizi forniti dalla General Services Administration (GSA) del governo federale. Tutta l’attività è ovviamente finalizzata alla eventuale vera transizione, quella dopo Election Day, in caso di vittoria democratica. Ma intanto i membri del team hanno preso confidenza con le cose da fare, sono stati controllati per avere la security clearance necessaria, sono stati avvisati di eventuali conflitti d’interesse, e così via.
Il transition team di Joe Biden è guidato da Ted Kaufman, suo consigliere personale di una vita, ex senatore del Delaware nel seggio da lui lasciato libero quando divenne vice presidente. Sta raccogliendo fondi per finanziarsi, sta assumendo staff (fino a 350 persone), sta elaborando suggerimenti e proposte per futuri posti di governo. Sembra che le principali difficoltà non derivino per il momento da contrasti con il team Trump con cui deve collaborare, ma da altro. Dalla pandemia, che costringe al lavoro da remoto, usando poco le risorse messe a disposizione dalla GSA. E dalla necessità, vitale ma complicata, di accomodare tutte le anime del partito. Nello staff ci sono quindi collaboratori legati a esponenti dell’ala di sinistra o progressista (alla deputata sandersiana Pramila Jayapal, per esempio, e a Elizabeth Warren) e di quella centrista (ai Clinton e a Obama), e anche un ex repubblicano…
Comunque per sapere tutto sui retroscena, sulle cose che si fanno e si dicono, sui nomi che circolano (il motto è “personnel is policy”), sui litigi e anche un po’ di gossip, Politico pubblica da qualche giorno una newsletter dedicata, Transition Playbook (qui).
- La Corte suprema e il regime politico: quando i nodi vengono al pettine
- Walt Whitman, Election Day, 1884
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