Il confine è una linea ideale e spesso materiale fissata per legge, magari con trattati internazionali, che separa due stati, l’autorità di due governi… Una linea? Aspetta un momento. La carta geografica di copertina, qui sopra, racconta una storia un po’ diversa, più complicata.
Gli Stati Uniti hanno infatti non solo una border line ma anche una “border zone”, cioè una fascia territoriale profonda 100 miglia (160 chilometri, qui evidenziata in rosso) adiacente ai confini di terra e di mare in cui la polizia di frontiera ha alcuni eccezionali poteri che non ti aspetteresti così lontano, fisicamente e psicologicamente, dai ports of entry. Ed è una fascia estesissima, che comprende i deserti messicani del Sudovest e le foreste canadesi del nord, ma anche le grandi città costiere e dell’interno (Chicago), interi stati nel New England, tutto il New Jersey, tutta la Florida, il Michigan, Hawaii. Le aree più popolose del paese, insomma, due terzi dei suoi abitanti, 200 milioni di persone.
Questa border zone è stata istituita dal Department of Justice nel 1953 interpretando un precedente Immigration and Nationality Act. All’inizio sembrava poca cosa, ma negli ultimi decenni è diventata importante. Al suo interno gli agenti della U.S. Customs and Border Protection (CBP) hanno l’autorità di stop and search, di fermare e interrogare persone, perquisirle, perquisire automobili, anche di organizzare checkpoints. In una zona più ristretta di 25 miglia possono entrare nelle proprietà private senza un mandato. Tutto questo, almeno in teoria, non in maniera indiscriminata ma solo in caso di probable cause o reasonable suspicion di un reato contro le leggi sull’immigrazione.
Tecnicamente si tratta di estendere a un’area più ampia i normali poteri di cui dispone la polizia di frontiera nei posti di frontiera, dove, come ognun sa, può farti rovesciare le tasche, frugare nel tuo bagaglio o bagagliaio, fermarti per ulteriori controlli. Solo che qui l’area è davvero amplissima, tocca due americani su tre. La American Civil Liberties Union parla di una zona in cui non si applicano le garanzie del Quarto emendamento della Costituzione, quello contro le perquisizioni arbitrarie e irragionevoli (unreasonable search and seizure). Una zona in cui c’è libertà di caccia agli immigrati irregolari, e in cui si commettono abusi anche delle poche regole esistenti (probable cause e reasonable suspicion – cioè? Vai a capire che cosa significano in pratica oltre alla regola della forza, del distintivo, della divisa). Una zona dunque, dice l’ACLU, quasi Constitution-free.
Che il confine cessi di essere una solitaria, singola linea e diventi un’area estesa è rilevante anche dal punto di vista culturale. Perché dà credibilità ufficiale e legale all’idea diffusa fra gli attivisti anti-immigrazione che la battaglia sul confine riguardi ormai tutto il territorio del paese. “The border is no longer in the desert”, dicono. “It is all over America”. Che dicano “deserto” ti fa capire quanto abbiano in mente un solo confine e una sola minaccia, quella proveniente dal Messico.
E c’è qualcosa di più, perché la zona di confine finisce con l’estendersi anche fuori dei confini nazionali, sia in metafora che in pratica operativa. Ci sono accordi internazionali in base ai quali la polizia messicana, addestrata dagli Stati Uniti, fa controlli e checkpoints anti-immigrati a ridosso del Rio Grande ma anche a sud, a ridosso del Guatemala. Alcune autorità statunitensi ti dicono: in effetti tutta l’America meridionale è un nostro confine. Qualcuno specifica: “credo che la difesa del confine del Sudovest cominci 1.500 miglia più a sud, in Perù”.
In effetti gli americani sono diventati esperti mondiali in gestione dei confini (non capisci bene perché, visto il colabrodo che sono i loro confini, ma tant’è). I loro istruttori sono attivi in decine di paesi, in programmi di collaborazione: in Medio oriente, in molti paesi latino americani, in Africa. La U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) ha degli attachés nelle principali sedi diplomatiche americane all’estero, lavora con governi stranieri per identificare e combattere organizzazioni criminali transnazionali prima che minaccino direttamente il territorio degli Stati Uniti.
E qui, naturalmente, il tema immigrazione si intreccia con il tematerrorismo e anti-terrorismo. Come dicono gli alti funzionari del Department of Homeland Security, dopo l’11 settembre i confini sono intesi in maniera molto fluida ed estesa. Anche perché, dal punto di vista della sicurezza nazionale,”the American homeland is the planet”.
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