Notizie da un altro mondo, guardando e copiando due o tre miei vecchi post di Facebook, ovviamente non americani (con FB che ormai mi è diventato una specie di archivio storico)
Veltroni aveva avuto un’idea di partito di qualche respiro, non subalterna al passato. Era un’idea, una “visione” come diciamo noi americani, che richiedeva un po’ di fatica, e di pazienza, palesemente inadatta a dirigenti e militanti restii alle contaminazioni o che erano alla ricerca di soluzioni ready made, instant, last minute. E inadatta anche a lui, che non ha avuto l’energia, il talento e la statura per portarla avanti (dimissioni del febbraio 2009).
Renzi sembrava avere l’energia che era mancata a Veltroni, lo dice Veltroni stesso: la “determinazione [di Matteo], la “cattiveria” che io non ho saputo avere; cosa che mi sono sempre rimproverato come un difetto” (Corriere della sera, 27 maggio 2014). Ma Renzi ha mostrato di avere solo quella, l’energia, senza una vera direzione che non fosse se stesso. E anche lui ha mollato alle prime difficoltà, mancando anche lui della pazienza, del talento e della statura del party builder (e alla fine di un vero interesse a farlo).
Una cosa in comune i due ce l’hanno, e chissà che non sia questa una delle chiavi del loro fallimento nell’impresa che poteva essere l’impresa di una vita, della loro e della nostra vita: al dunque, si sono rivelati dirigenti lamentosi. Inutile in questi giorni dire di Renzi, dico solo di Veltroni: “Ho registrato ingiustizie e vigliaccherie. Fossi stato più giovane ne avrei sofferto” (Corriere della sera, 15 settembre 2010).
Probabilmente nei libri di storia si dirà che quell’idea di partito era irrealistica oppure, trombonescamente, che era “fuori della storia”. Una noterella a pié di pagina su certi dirigenti lamentosi, piagnucolosi andrà pur fatta anch’essa – ricordando che non è che fossero reduci dalle scomodità delle carceri fasciste.
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