Quando gli Stati Uniti erano ancora fuori dalla Grande guerra, e si discuteva animatamente se entrarvi o meno, era molto diffusa una canzone pacifista – pubblicata nel gennaio del 1915 e subito diventata un bestseller, forse il bestseller dell’anno. Era l’accorato lamento di una madre, e si chiamava I Didn’t Raise My Boy to Be a Soldier, non ho cresciuto mio figlio per farne un soldato.
La musica era di un compositore newyorkese di origine italiana, Al Piantadosi, attivo nella scena musicale di Broadway, autore di frizzanti motivetti come Italian Waltz, Italian Serenade, Italian Rag – ma anche (bisogna pur campare) di I’m Awfully Glad I’m Irish. Qui il tono è, di necessità, non frizzante ma melodrammatico. Una delle tante registrazioni originali del 1915 è il soundtrack di questo video (le immagini sono crude scene di battaglia in trincea), e questo è il testo delle liriche:
- Ten million soldiers to the war have gone,
- Who may never return again.
- Ten million mother’s hearts must break
- For the ones who died in vain.
- Head bowed down in sorrow
- In her lonely years,
- I heard a mother murmur thru’ her tears:
- Chorus:
- I didn’t raise my boy to be a soldier,
- I brought him up to be my pride and joy.
- Who dares to place a musket on his shoulder,
- To shoot some other mother’s darling boy?
- Let nations arbitrate their future troubles,
- It’s time to lay the sword and gun away.
- There’d be no war today,
- If mothers all would say,
- “I didn’t raise my boy to be a soldier.”
- What victory can cheer a mother’s heart,
- When she looks at her blighted home?
- What victory can bring her back
- All she cared to call her own?
- Let each mother answer
- In the years to be,
- Remember that my boy belongs to me!
Poi, nell’aprile 1917, il presidente Wilson portò gli Stati Uniti in guerra, e questa canzone anti-war cominciò a essere in odore di scarso patriottismo, di disfattismo (era bandita in Gran Bretagna e Francia). Di patriottismo grondava invece Over There, cioè laggiù, laggiù in Europa – una marcetta scritta proprio in quell’aprile da George M. Cohan, che diventò immediatamente la più popolare colonna sonora dello sforzo bellico e della spedizione militare oltreatlantico.
Cohan era un compositore, attore e impresario irlandese-americano che di Broadway e delle sue musical comedies era considerato il padre fondatore. La sua statua è oggi a Times Square, nel cuore storico del distretto teatrale di Manhattan.
E patriota lo era assai, Cohan, da sempre. Aveva già scritto, all’inizio del secolo, un paio di altre marce notissime, Yankee Doodle Dandy (dove c’è il verso immortale, “Born on the Fourth of July”) e poi You’re a Grand Old Flag. Per la bandiera a stelle e strisce aveva un vera fissazione, anche per sincero spirito commerciale. Diceva: “Molti spettacoli scadenti sono salvati dalla bandiera americana”.
Over There è allegramente marziale, coinvolgente, emana vitalità giovanile, sicurezza, deteminazione, conia espressioni rimaste nella memoria come “the Yanks are coming”. Rimase celebre anche durante la Seconda guerra mondiale, per esempio nella versione swing dell’orchestra di Glenn Miller. Le sue strofe più famose sono cantate nel film del 1942 Yankee Doodle Dandy (Ribalta di gloria, regia di Michael Curtiz, quello di Casablanca), che di Cohan – interpretato da James Cagney – racconta la vita.
Qui c’è il video e queste sono le parole:
- Johnny, get your gun, get your gun, get your gun.
- Take it on the run, on the run, on the run.
- Hear them calling you and me,
- Every Son of Liberty.
- Hurry right away, no delay, go today.
- Make your Daddy glad to have had such a lad.
- Tell your sweetheart not to pine,
- To be proud her boy’s in line.
- Chorus:
- Over there, over there,
- Send the word, send the word over there
- That the Yanks are coming, the Yanks are coming
- The drums rum-tumming everywhere.
- So prepare, say a prayer,
- Send the word, send the word to beware –
- We’ll be over, we’re coming over,
- And we won’t come back till it’s over, over there.
C’è anche una terza strofa più dark, spesso ignorata o eseguita con alcuni versi mutati – perché sembra non stia più tanto bene ricordare che i nemici tedeschi erano chiamati “Unni”, e che c’era la possibilità della morte (“do or die”). Naturalmente i sacri colori della bandiera ritornano anche qui:
- Johnny, get your gun, get your gun, get your gun.
- Johnny, show the Hun you’re a son-of-a-gun.
- Hoist the flag and let her fly
- Yankee Doodle do or die.
- Pack your little kit, show your grit, do your bit.
- Yankee to the ranks from the towns and the tanks.
- Make your Mother proud of you
- And the old red-white-and-blue.
Entrambe le canzoni contengono riferimenti alla famiglia. La canzone pacifista è maternalista, il soldato è proprietà preziosa (“quel ragazzo mi appartiene”) della madre – che non vuole cederlo allo stato guerriero affinché uccida altri figli di donna (“chi osa mettergli un moschetto in spalla”). Quella patriottica fa invece appello direttamente al figlio maschio, lo invita a far felice il padre e orgogliosa la madre – ma i genitori, chiaramente, non sembrano avere alcuna autorità o pretesa di possesso su di lui.
Entrambe le canzoni contengono a loro modo riferimenti storici. In Over There si evoca la tradizione dei Sons of Liberty, che erano i partigiani combattenti per la libertà della guerra rivoluzionaria di fine Settecento. In I Didn’t Raise My Boy to Be a Soldier si evoca invece (con parole tecniche un po’ sorprendenti nel paroliere Alfred Bryan) la più recente tradizione politica e giuridica di coloro che, su entrambe le sponde dell’Atlantico, cercavano di promuovere la pace tramite l’arbitrato internazionale.
Libertà e arbitrato internazionale: che entrambe le canzoni, così diverse e così contrastanti, avessero in sè qualcosa del wilsonismo che stava arrivando?
Categorie:Americanismo, Politica estera
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