Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Archeologia dello hipster: Norman Mailer nel 1957

Screen Shot 2012-05-06 at 10.48.45 PMNorman Mailer, Il Negro bianco: riflessioni superficiali sullo hipster (1957)

(Queste sono un paio di pagine tratte dalla rivista Dissent, Fall 1957, e tradotte in fretta. Il testo inglese completo, piuttosto lungo, è qui. Qui invece Mailer ne parla alla televisione canadese CBC, nel 1960. Fumando come un turco.)

E’ sullo sfondo di questa squallida scena che un fenomeno è apparso: l’esistenzialista americano – lo hipster, l’uomo che sa che se la nostra condizione collettiva è convivere con la morte istantanea in una guerra atomica, una morte relativamente veloce da parte dello Stato come univers concentrationnaire, o con una morte lenta per conformismo con il soffocamento di ogni istinto creativo e ribelle (con quale danno per la mente e il cuore e il fegato e i nervi nessuna research foundation sul cancro scoprirà tanto presto), se il destino dell’uomo del ventesimo secolo è convivere con la morte dall’adolescenza a una prematura senescenza, ecco che allora la sola risposta vitale è accettare i termini della morte, vivere con la morte come pericolo immediato, divorziare dalla società, esistere senza radici, iniziare un viaggio negli inesplorati imperativi ribelli del sé. In breve, che la vita sia criminale oppure no, la decisione è di incoraggiare il psicopatico in noi, esplorare quelle regioni di esperienza dove la sicurezza è noia e quindi malattia, esistere nel presente, in quell’enorme presente che è senza passato o futuro, senza memoria o mete da raggiungere, la vita in cui un uomo deve procedere finché non è sconfitto, in cui deve giocarsi le sue energie attraverso tutte quelle piccole o grandi crisi di coraggio e situazioni impreviste che sconvolgono la giornata, in cui deve essere attivo e pronto o condannato a perdere colpi.

L’inespressa essenza dello Hip, la sua genialità psicopatica, vibra nella consapevolezza che nuovi tipi di vittorie aumentano la capacità di avere nuovi tipi di percezione; e che le sconfitte, il tipo sbagliato di sconfitte, attaccano il corpo e imprigionano l’energia fino a morirne nell’aria soffocante delle abitudini degli altri, delle sconfitte degli altri, della noia, della quieta disperazione, della muta gelida rabbia auto-distruttiva. Un uomo o è Hip o è Square (l’alternativa di fronte a cui comincia a trovarsi ogni nuova generazione che entra nella vita americana), è un ribelle o un conformista, un frontiersman nel Wild West della vita notturna americana oppure una cellula Square, intrappolata nelle maglie totalitarie della società americana, condannata che lo voglia o no ad adeguarsi per avere successo.

Una società totalitaria mette a dura prova il coraggio degli uomini, e una società parzialmente totalitaria ancora di più, perché maggiore è l’angoscia generale. In effetti se si vuole essere uomini, quasi ogni tipo di azione non convenzionale richiede un coraggio sproporzionato. Così non è un caso che l’origine dello Hip sia il Negro, che ha vissuto sul confine fra totalitarismo e democrazia per due secoli. Ma la presenza dello Hip come filosofia attiva nei sotto-mondi della vita americana è probabilmente dovuta al jazz, al suo tagliente ingresso nella cultura, alla sua sottile ma così penetrante influenza su una generazione avant-garde – quella generazione postbellica di avventurieri che (alcuni consciamente, alcuni per osmosi) avevano assimilato la lezione di disincanto e disgusto degli anni venti, della grande depressione, della guerra. Condividendo una sfiducia collettiva nelle parole di uomini che avevano troppo denaro e controllavano troppe cose, essi avevano una sfiducia altrettanto potente nelle idee socialmente monolitiche del matrimonio, della solidità famigliare, della vita sessuale rispettabile. […]

Non meraviglia dunque che in certe città d’America, a New York naturalmente, e a New Orleans, a Chicago e San Francisco e Los Angeles, in città così americane come Parigi e Città del Messico, questa particolare porzione di una generazione fosse attratta da ciò che il Negro aveva da offrire. In luoghi come il Greenwich Village si completò un ménage à trois – il bohémien e il delinquente giovanile si trovarono faccia a faccia con il Negro, e lo hipster entrò nella vita americana. Se la marijuana fu l’anello nuziale, il figlio fu il linguaggio dello Hip perché il suo argot diede voce ad astratti stati d’animo che tutti potevano condividere, almeno tutti quelli che erano Hip. E in questo matrimonio del bianco e del nero fu il Negro che portò la dote culturale. Qualunque Negro che desidera vivere deve convivere con il pericolo fin dal primo giorno, e nessuna esperienza può mai essere accidentale per lui, nessuno Negro può passeggiare per strada con la certezza di non incontrare la violenza sul suo cammino. I cammeo di sicurezza per il bianco medio: madre e casa, lavoro e famiglia, non sono neanche immaginabili come parodia per milioni di neri; sono impossibili. Il Negro ha la più semplice della alternative: vivere una vita di costante umiltà o di sempre incombente pericolo.

In una situazione in cui la paranoia è necessaria alla sopravvivenza tanto quanto il sangue, il Negro si era mantenuto vivo e aveva cominciato a crescere seguendo i bisogni del suo corpo ovunque potesse. Sapendo in ogni fibra del suo essere che la vita è guerra, nient’altro che guerra, il Negro (con tutte le eccezioni del caso) poté solo raramente permettersi le raffinate inibizioni della civiltà, e così fece ricorso per sopravvivere all’arte dei primitivi, visse nell’enorme presente, aspettò lo sballo del sabato sera, accantonando i piaceri della mente per quelli più urgenti del corpo, e nella sua musica diede voce al carattere e alla qualità della sua esistenza, alla rabbia e alle infinite variazioni di gioia, lussuria, languore, grugnito, spasmo, fastidio, urlo e disperazione del suo orgasmo. Perché il jazz è orgasmo, è musica di orgasmo, orgasmo buono e orgasmo cattivo, e come tale parlò all’intero paese, mantenne la comunicativa dell’arte anche quando fu annacquato, distorto, corrotto, quasi ucciso, e parlò in forma popolare, non importa quanto ripulita, di stati esistenziali immediati ai quali alcuni bianchi furono sensibili, fu davvero una forma di comunicazione artistica perché diceva, “Sento questo, e ora lo senti anche tu”.

Così comparve una nuova razza di avventurieri, avventurieri urbani che uscivano di notte alla ricerca di azione guardando il mondo con il codice dei neri. Lo hipster aveva assimilato le sinapsi esistenzialiste del Negro, e poteva essere considerato a tutti gli effetti pratici un Negro bianco.

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Categorie:cultura di massa, Uncategorized

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