Perché un sindacato diventi il rappresentante ufficiale di un gruppo di dipendenti di un luogo di lavoro, e possa fare contrattazione collettiva a loro nome, deve conquistare almeno la maggioranza semplice dei voti espressi dai membri di quel gruppo (la maggioranza dei votanti, non di tutti). Non è l’unico modo per far riconoscere il sindacato, ma è un modo molto usato. E allora le dimensioni del gruppo scelto, e la qualità del personale che vi è incluso, contano – contano molto. Le operazioni di voto sono gestite dal National Labor Relations Board (NLRB), una agenzia federale di mediazione creata dal New Deal. Il Board di cinque membri è formalmente indipendente ma di nomina presidenziale (con il consenso del Senato) e quindi politica – e anche questo conta. Quello attuale è a maggioranza repubblicana, uno dei tanti retaggi dell’amministrazione Trump, mentre il suo chair è democratico, una delle tante nomine fulminee fatte da Biden nel giorno stesso della sua inaugurazione.
Accade così che il 20 novembre scorso la Retail Warehouse and Department Store Union (RWDSU) chieda al NLRB di indire una elezione per essere certificata come rappresentante sindacale dei dipendenti del magazzino Amazon a Bessemer, in Alabama. Non di tutti i 6000 che ci lavorano, ma di una loro frazione ben caratterizzata, una bargaining unit di 1500 persone che comprenda i dipendenti full-time e part-time regolari. Cioè il cuore della forzalavoro più stabile, quella che si suppone più facile da identificare, contattare, organizzare. Come da regolamento, per avviare la richiesta al NLRB il sindacato dichiara di avere il sostegno firmato di almeno il 30% dei membri della bargaining unit proposta; si vanta pubblicamente di averne ben di più, quasi la metà. E chiede che le elezioni si svolgano il mese dopo, il 27-30 dicembre.
Durante le trattative di fronte al NLRB Amazon fa la sua parte. Cioè fa melina per guardagnare tempo, ottiene di posticipare la data delle elezioni. Soprattutto mette in discussione la dimensione della bargaining unit. Deve comprendere, dice, tutta la forzalavoro del deposito, non si può frazionarla perché l’organizzazione del lavoro è integrata. Le linee-guida del NLRB dell’era Obama avevano limitato la capacità del datore di lavoro di interferire con questa faccenda, lasciandola tutta all’iniziativa sindacale; ma nell’era Trump la musica era cambiata e ora è possibile farlo. Lo scopo è evidente: allargare improvvisamente la base da 1500 a 6000 persone significa diluire l’efficacia del sindacato, costringerlo a una rincorsa e a un sovraccarico di attività, costringerlo a convincere lavoratori marginali, temporanei, stagionali che non si sa mai chi siano e quanti siano, in un ambiente che ha turnover elevatissimi.
Malgrado ciò, la RWDSU accetta la sfida per la quale non è palesemente pronta, e questo sembra un passo fatale. Il presidente Stuart Appelbaum dirà che era importante non procrastinare ulteriormente il contenzioso e arrivare al dunque cioè, in tempi ragionevoli, alla data per il voto operaio. Su richiesta del sindacato, contro l’opinione di Amazon (che avrebbe preferito un voto in persona), ma per decisione finale del mediatore del NLRB (per ragioni di sicurezza sanitaria), il voto si sarebbe svolto per posta. La data diventa quindi un lasso di tempo piuttosto lungo, quasi due mesi, dall’8 febbraio al 29 marzo. E come è andata si sa. I dati ufficiali non arrotondati sono questi: dei 5876 lavoratori aventi diritto, hanno partecipato 3117 di cui 3041 in modo valido (76 schede sono nulle). A favore del sindacato i voti sono 738, quelli contrari 1798, mentre ci sono 505 schede contestate che comunque non farebbero alcuna differenza per il risultato.
La storia naturalmente non finisce lì. La RWDSU annuncia ricorsi, accusa Amazon di pratiche sleali, di aver intimidito i lavoratori, bombardandoli di messaggi anti-sindacali fin dentro i gabinetti (quando è loro consentito di andare), costringendoli ad assemblee in orario di lavoro con presenza obbligata, mentendo a destra e a manca, e così via. Amazon risponde che a scoraggiare la sindacalizzazione sono state le buone condizioni offerte, il salario di partenza a 15.30 dollari l’ora (il doppio del minimun wage nazionale), l’assicurazione medica, il piano pensioni, le 20 settimane di parental leave. Fatti reali, peraltro, tanto è vero che le lamentele degli scontenti e degli attivisti sindacali si sono concentrate su altro, soprattutto sui ritmi di lavoro che non danno respiro (neanche per andare al gabinetto appunto).
Comunque vada a finire, resta aperta la questione delle dimensioni della bargaining unit, che si è rivelata strategica. C’è una questione storica, perché non si capisce bene che cosa sia successo a Bessemer (almeno non lo capisco io, con le informazioni che riesco a raccogliere). Chiedere di rappresentare 6000 lavoratori invece di 1500 vuol dire, da regolamento, disporre del sostegno scritto di almeno 1800 di loro (il 30%). I dirigenti sindacali dicono di averlo addirittura di 3000 – che poi si volatilizzano? Che si riducono a 738 striminziti voti, cioè giusto quelli necessari all’inizio, per avviare la pratica per 1500 lavoratori? Mi sembra poco credibile, ma non trovo commenti in proposito. E poi c’è la connessa questione politica, cioè il che fare. In una conferenza stampa sindacale sono saltati fuori dubbi sulla saggezza della scelta, forse sarebbe stato opportuno ritirarsi di fronte al gonfiarsi dei numeri da organizzare? E comunque, non sarà il caso di rivedere la strategia?
L’Alabama, come altri stati del Sud e del West, ha una reputazione e una legislazione anti-sindacale. Tuttavia tutti gli anni i sindacati hanno dei successi, ma solo in luoghi di lavoro relativamente piccoli, con meno di 100 dipendenti. Quelli più grandi sono problematici. Prima di Amazon, per esempio, c’è stata un’altra importante sconfitta nello stabilimento Nissan di Canton, nel 2017, quando 2200 dei 3700 dipendenti votanti si espressero contro il riconoscimento della United Automobile Workers. D’altra parte c’è stata anche un importante vittoria, nel 2012, fra le migliaia di dipendenti di una multinazionale alimentare, la Pilgrim’s Pride di Russellville. E a vincere allora fu la Retail Warehouse and Department Store Union, proprio lo stesso sindacato che ora ha preso di mira Amazon (e viceversa).
- George Mosse e Harvey Goldberg, sparring partners
- Il sindacato anti-Amazon, un sindacato Democratico con la D maiuscola
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