Abram C. Van Engen, City on a Hill. A History of American Exceptionalism, Yale University Press, New Haven and London, 2020, 380 pp. Una recensione più sintetica di questo libro sarà pubblicata nel fascicolo 3-2021 della Rivista di storia politica.
Quando Ronald Reagan, nel suo farewell address del gennaio 1989, parla dell’America come di “a shining city”, “a city upon a hill” che illumina e attrae tutti coloro che nel mondo amano la libertà, ripete un mito delle origini della nazione che era diventato piuttosto popolare. Correttamente Reagan ricorda che la frase-chiave, “la città sulla collina”, viene da John Winthrop, ma poi sbaglia tutto: definisce Winthrop uno dei primi “Pilgrims” che approdarono nella Nuova Inghilterra all’inizio del Seicento, dice che gli servì “to describe the America he imagined”, pensa che le sue parole abbiano ispirato tutti gli americani da sempre, con una speciale risonanza. Non è vero niente – ma sul serio vogliamo metterci a fare le pulci alla retorica presidenziale? Sul serio vogliamo prenderci la briga di dimostrare che i secolari miti delle origini sono delle fantasie e non sono neanche tanto secolari, spesso sono nati l’altro ieri, con l’opportuna torsione di qualche reale evento storico?
Naturalmente vale la pena di farlo, questo lavoro critico per ristabilire i fatti per quello che sono, e per capire l’uso delle loro distorsioni, se serve per produrre delle affascinanti storie culturali. E’ quello che fa Abram Van Engen, un giovane studioso della Washington University a St. Louis. Non è il primo a cimentarsi nell’impresa, ma gli riesce bene, in un bel tour de force intellettuale. E la verità ristabilita è questa.
La frase di Winthrop, ripresa dal sermone evangelico della montagna, è nel suo sermone A Model of Christian Charity, che avrebbe composto nel 1630 sulla nave che lo porta a insediarsi nella baia del Massachusetts. Ma, tanto per cominciare, Winthrop non è uno dei Padri Pellegrini, cioè di coloro che vennero a morire di fame a Plymouth Rock nel 1620, bensì uno dei Puritani che arrivarono con più agio e per fare i loro affari dieci anni dopo. La differenza è importante, non è pedanteria storica, anche perché è volutamente ignorata da chi fonde e confonde le due vicende per costruire la leggenda della Nuova Inghilterra puritana come culla della nuova America. E per cancellare il primato dell’altra e precedente culla meridionale, Jamestown in Virginia, nata nel 1607, così cancellando anche la schiavitù che arrivò laggiù con i primi servi-schiavi africani nel 1619.
In secondo luogo, la “città sulla collina” non ha nulla a che fare con l’America, Winthrop non vede la Nuova Inghilterra come terra promessa né i suoi compagni di viaggio come popolo eletto; parla di cose religiose, si riferisce al ruolo che i Puritani dovrebbero avere, di esempio illuminante, nella comunità cristiana di appartenenza. E infine, e forse soprattutto, per secoli sia la frase che il sermone rimasero sconosciuti ai coloni e poi agli americani, che poterono leggere il testo solo dopo il 1838, quando fu finalmente dato alle stampe. Malgrado tutte le storie del Puritanesimo e tutte le biografie di Winthrop e tutte le carte private scritte nel periodo (con l’unica eccezione di una lettera della metà del Seicento), nessuno menziona A Model of Christian Charity. “The supposed foundation of the nation, the document fundamental to the meaning of America, the best sermon of the millennium, and the cultural key text of American society was nothing special in its day”. E anche dopo il 1838 non ebbe particolare fortuna di pubblico o di critica.
La trasformazione di questa storia in un mito politico delle origini, che avrebbe attraversato e dato significato a tutta la storia nazionale, avviene all’indomani della Seconda guerra mondiale, nel clima della Guerra fredda. Con il contributo fondamentale di alcuni autorevoli studiosi con le cui manipolazioni testuali e creatività interpretative Van Engen è spietato. Principale imputato è il grande storico harvardiano dell’America coloniale, Perry Miller, che si inventa di sana pianta il “fatto” inesistente che il sermone di Winthrop sia stato da subito stampato e diffuso: da subito, perché ovviamente deve essere rilevante, e se nessuno lo conosce come fa a esserlo? E deve essere rilevante perché fonda l’idea che la colonia, la Nuova Inghilterra, e quindi la nazione americana è stata creata con la chiara consapevolezza del suo significato, con delle intenzioni e con uno scopo, dal nulla: “something of a rarity in modern history”, commenta Miller.
Non è da meno il grande critico culturale Sacvan Bercovich (confesso: uno dei miei eroi intellettuali, malgrado tutto, ahimé). Il quale dichiara di assumere A Model of Christian Charity come testo canonico e “a city on a hill” come indicatore del suo significato. Procede quindi a estrapolare frasi (opportunamente tagliate) dal contesto, ad amplificarle in una visione unificata dell’America, ad attribuire loro erroneamente una presenza e una influenza continua, in tutta la cultura e la storia americana dai tempi coloniali ai nostri giorni. Erroneamente, vi vede una valenza politica che non c’è. Dice Van Engen: “Bercovich himself created the Puritan origins he found everywhere on display”. E riassume in due righe il modo in cui si formano certi miti storici, questo e tanti altri: “Puritan origins did not invent the myth of America. Americans, much later, invented the myth of Puritan origins”.
Van Engen ripercorre dunque tutta la storia nazionale per mostrare come il topos della “city on a hill” fosse assente o del tutto secondario. Mentre il discorso ideologico che oggi è conosciuto come “eccezionalismo americano”, cioè un nazionalismo convinto della unicità della esperienza e della speciale missione americana nel mondo, si stava plasmando intorno ad altri nuclei concettuali: i principi universalisti della Rivoluzione, la dottrina del Destino manifesto, certe interpretazioni della dottrina di Monroe, il wilsonismo e solo alla fine, sì, la città sulla collina. Van Engenusa spesso il termine “eccezionalismo americano” in modo un po’ anacronistico e casuale, senza fare su questa invenzione lessicale lo stesso lavoro critico che fa su “la città sulla collina”: quando nasce e si diffonde davvero? Lo sappiamo anche se lui non ne parla, nasce negli anni venti del Novecento, nel più improbabile degli ambienti, quello dell’internazionale comunista – ma questa è un’altra storia.
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