Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Hanno preso più voti di John Kennedy? Bella forza

Schermata 2020-11-23 alle 17.47.51E’ ben giusto enfatizzare che, in queste elezioni presidenziali del 2020, il numero di cittadini che ha votato è stato altissimo, e che il tasso di affluenza alle urne toccherà probabilmente un record storico, inaudito dall’inizio del Novecento, più di un secolo fa. E’ anche giusto sottolineare che sia il vincitore Joe Biden che quell’altro, il secondo arrivato, il loser, hanno preso una quantità di voti impressionante. Basta non esagerare nell’entusiasmo. Ripetere, come mi è capitato di sentire più volte, che hanno preso più voti popolari di Ronald Reagan o John Kennedy o Franklin D. Roosevelt, è un modo per sfiorare il ridicolo. E’ ovvio che sia così, non potrebbe essere altrimenti.

Come dire: da un ciclo elettorale all’altro, gli americani sono sempre un po’ di più, e anche i possibili elettori lo sono, e in genere anche i voti che fanno vincere. Sul lungo periodo poi, quello che include FDR e JFK e anche RR, sono costantemente molto di più.

Da un ciclo elettorale all’altro, aumenta la popolazione generale e con essa ovviamente sia la popolazione in età di voto (Voting-age Population o VAP) che la popolazione in età di voto che ha effettivamente diritto a votare (Voting-eligible Population o VEP). Quest’ultima è ottenuta sottraendo alla VAP i residenti immigrati non naturalizzati e i condannati per reati penali che abbiano perso la franchigia per via della condanna (e sono tanti, si stima più di 3 milioni nel 2020). Ed è la popolazione che qui interessa, perché costituisce il corpo elettorale potenziale.

VAP e VEP, vale la pena di ricordarlo, sono stime statistiche, non sono “dati” ufficiali tipo quelli che in Italia si ricaverebbero dai registri elettorali. Negli Stati Uniti gli aventi diritto al voto, nella maggior parte degli Stati, non sono inseriti automaticamente nei registri elettorali, per entrarvi devono far domanda, e parecchi non lo fanno; i registered voters sono quindi un numero inferiore rispetto agli aventi diritto e non sono considerati ai fini di questo calcolo. Trattandosi dunque di stime, elaborate da statistici in carne e ossa, esse possono variare a seconda della fonte. Qui uso come fonte il U.S. Census, tranne che per il 2020, a proposito del quale faccio affidamento sulle stime del U.S. Elections Project del professor Michael McDonald (University of Florida) e sui risultati elettorali (provvisori) del New York Times.

E dunque, nell’anno presidenziale 2020 gli aventi diritto al voto (VEP) sono stati 239 milioni (arrotondo). Andando indietro di vent’anni in vent’anni, erano 210 milioni nell’anno 2000, 164 milioni nel 1980, 110 milioni nel 1960, 85 milioni nel 1940.

Non sorprende quindi che anche i voti espressi alle elezioni presidenziali abbiano avuto lo stesso andamento. Per il 2020 il conteggio delle schede non è ancora finito, inserisco quindi la stima minima ma incompleta fornita dal U.S. Elections Project: 159 milioni di voti (altre stime di altri sono più alte, e probabilmente lo saranno a conteggi finiti). Andando indietro di vent’anni in vent’anni, le cifre  sono ovviamente inferiori e ovviamente decrescenti, come riassumo nella tabella qui sotto . Il rapporto fra il numero di voti espressi e il numero di aventi diritto al voto indica il tasso di partecipazione per l’anno considerato, e sta nella penultima colonna. Nell’ultima, i voti presi dal candidato vincitore.

VEP
(milioni)
Votanti
(milioni)
Affluenza
%
Voti (milioni)
Vincitore
202023915966.580Biden
200021010650.350Bush II
19801648652.844Reagan
19601106962.834Kennedy
1940855058.827FDR

Sul medio periodo, dunque, popolazione ed elettori aumentano, e quindi anche il trend dei voti raccolti dai candidati presidenziali è a salire. Il trend – ma non necessariamente ogni passo. Sul breve periodo, in effetti ci sono tornate elettorali in cui il numero di votanti è inferiore alla tornata precedente, e anche il numero di voti dei candidati, malgrado l’aumento costante degli aventi diritto al voto. Sono le annate in cui la partecipazione elettorale s’affossa, in cui ci sono passi indietro, anzi scalini indietro nella linea di tendenza. Osservare il fenomeno è semplice, per spiegarlo occorrerebbe entrare nelle dinamiche di ciascuna competizione elettorale, cosa che non ho intenzione di fare.

Ma tanto per vedere un paio di esempi. Il numero di votanti è sceso dal 2008 al 2012, da 131 milioni a 129 milioni, e così sono scesi i tassi di affluenza alle urne (dal 57.1% al 54.9%) e i voti del vincitore (da 69 milioni a 66 milioni). Il candidato novello Barack Obama del 2008 ha eccitato molto di più gli elettori, a favore e contro di lui, del presidente Barack Obama del 2012. Quasi la stessa discesa c’è stata per le elezioni del secondo mandato di Bill Clinton nel 1996 (96 milioni di elettori, 49.0% di affluenza) rispetto alla prima elezione del 1992 (105 milioni, 55.2% di affluenza), ma in questo caso i voti del presidente eletto sono aumentati (da 45 a 47 milioni).

VEP
(milioni)
Votanti
(milioni)
Affluenza
%
Voti (milioni)
Vincitore
201223512954.966Obama
200823013157.169Obama
19961979649.047Clinton
199218910555.245Clinton

Nell’epoca contemporanea, questo scalino indietro al secondo mandato ha riguardato i presidenti democratici ma non i presidenti repubblicani paragonabili.  Non George W. Bush e neanche Ronald Reagan (allora lo scalino indietro c’è stato per single-term Bush padre nel 1988). Nel caso di George W. Bush, per dire quello più recente e più sottovalutato, fra il 2000 e il 2004 i votanti totali sono balzati da 106 a 122 milioni (con l’affluenza dal 50.3% al 55.7%) e i voti del vincitore da 50 milioni a 62 milioni – una festa per lui, dopo i tempi cupi del famigerato anno 2000. 

VEP
(milioni)
Votanti
(milioni)
Affluenza
%
Voti (milioni)
Vincitore
200422012255.762Bush II
200021010650.350Bush II

Categorie:Uncategorized

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