Qualche settimana fa mi è ricapitata sotto gli occhi una considerazione di Daniel Bell a proposito del socialismo negli Stati Uniti, o meglio a proposito della sua incapacità di mettervi radici. Il movimento socialista, dice Bell in questo libro quasi settantenne (Marxian Socialism in the United States, 1952), ha fallito in America perché era “nel mondo ma non del mondo”: pur cercando di essere parte della vita pubblica americana non ne ha accettato le regole di base, il pragmatismo e il compromesso; rifiutando tout court l’ordine capitalistico non è stato in grado di rapportarsi con i problemi specifici dell’azione politica nel mondo così com’è. “Sapeva solo agire come l’uomo morale, ma non politico, nella società immorale”. A me son tornati in mente i miei socialisti del Wisconsin, i protagonisti del mio primo libro di ricerca, ormai quarantenne (Il socialismo americano nell’età progressista: il Social-Democratic Party del Wisconsin, 1900-1920, 1980: si può leggere in pdf qui). E mi son tornati in mente perché li ricordo come tipi nel mondo e anche molto del mondo, agitatori dell’ideale capaci di compromessi, politiciansattenti al qui-e-ora e alle bread-and-butter issues, amministratori di municipi e sindacati, gente pratica insomma. Eppure anche loro, dopo i successi di inizio Novecento, hanno avuto vita grama per il resto del secolo. M’è così venuto voglia di ridare un’occhiata a quella ricerca, e riflettere di nuovo sulle possibili ragioni delle loro sconfitte. Ragioni che continuano ad apparirmi concrete, contingenti, senza alcuna inevitabilità, non descrivibili con linguaggio metastorico. E che oggi mi appaiono strettamente intrecciate alle ragioni stesse delle loro prime vittorie. Così vanno le cose, si vince e si perde per le medesime buone ragioni.
Wisconsin, l’Emilia americana
E dunque. Nel 1910 un socialista è eletto sindaco di Milwaukee – una città industriale di 400.000 abitanti nel Wisconsin, nel cuore del Midwest, sul lago Michigan, a nord di Chicago, con una forte presenza di residenti di lingua tedesca. Il nuovo sindaco Emil Seidel, un patternmaker per mestiere, è un dirigente del Socialist Party of America (SPA), o meglio della sua sezione statale che conserva il vecchio nome Social-Democratic Party (SDP). Il partito vince anche la maggioranza dei seggi in consiglio comunale, elegge un dozzina di deputati e senatori nelle assemblee legislative statali e invia il primo deputato socialista alla Camera dei rappresentanti a Washington, il suo leader più conosciuto, Victor Berger. L’ondata è nazionale, le città conquistate dai socialisti sono una trentina, nel novembre 1912 il SPA ottiene il suo miglior risultato nelle elezioni presidenziali con Eugene Debs, il 6% del voto popolare; Seidel è nel ticket come candidato alla vicepresidenza. La “marea montante del socialismo” è arrivata anche in questa America che sembrava destinata a smentire tutte le profezie del marxismo, e invece le conferma (una vexata questio naturalmente). I socialisti di Milwaukee sono riformisti, nel partito nazionale sono solo una delle correnti, convivono a volte con difficoltà con altre correnti più rivoluzionarie o più sindacaliste o più chiacchierone. Ai compagni riformisti italiani appaiono come esponenti di un “socialismo marxista, teutonico, senza tendenze perdi-tempo, tenace, freddamente entusiasta, disciplinato” messo al servizio della classe operaia. Il Wisconsin, dicono, è “l’Emilia americana”.
Dopo due anni di ammnistrazione socialista, nel 1912 Seidel e i suoi sono sconfitti alle elezioni muncipali. Dopo appena un mandato anche Berger perde il seggio in Congresso (ci tornerà in momenti e modi drammatici nel 1918). La storia prosegue così in maniera diversa. Il SDP resta forte nella politica cittadina ma non più vincitore. Nel 1916 un altro socialista è eletto sindaco ma questa volta come candidato non-partisan, non legato a una lista di partito, e con un cognome non germanico. Daniel Webster Hoan, che resta alla guida di City Hall fino al 1940, è il consulente legale della Wisconsin State Federation of Labor, fa una politica il più possibile progressista ma ha una maggioranza simpatetica in consiglio comunale solo nel quadriennio 1932-36, nel pieno della grande depressione. Solo allora riesce a fare qualcosa di socialista, che è in realtà un suo piccolo New Deal locale di assistenza e protezione di disoccupati, lavoratori, scioperanti. Un altro socialista è sindaco nel dopoguerra, Frank Zeidler, nel periodo 1948-1960, ma questo è davvero un altro mondo. (L’ho conosciuto, l’ex-sindaco Zeidler, nel 1978 – mentre spazzava personalmente il pavimento della minuscola sede del suo partitino, che allora si chiamava Socialist Party, USA. Insieme a lui c’era un giovanissimo attivista che è diventato un amico, Rick Kissell, e che è scomparso ancora troppo giovane l’anno scorso. Era un socialista idealista molto pratico, metteva il naso in ogni bega concreta di giustizia sociale che gli capitasse a tiro, cercava sempre di raddrizzare qualcosa, era pieno di humor e non era uno sconfitto.)
I socialisti vincono e perdono perché sono un partito operaio di massa (ma della classe operaia sbagliata)
Il Social-Democratic Party ha la sua base iniziale e poi più solida e duratura nella classe operaia di origine e lingua tedesca, in particolare fra gli operai di mestiere che alla fine dell’Ottocento gettano le fondamenta delle trade unions e confluiscono nella costruzione della American Federation of Labor (AFL). Con quei sindacati, in città e nello stato, i socialisti mantengono per decenni un rapporto organico, vi lavorano all’interno, ne sono i dirigenti più in vista, più influenti, ne vantano la membership quando si gettano nell’arena elettorale (Berger, da giornalista, è il presidente della locale Typographical Union). E’ un progetto di organizzazione positivo e aggressivo, simile a tanti altri nell’area transatlantica della Seconda internazionale; vuol dare una risposta politica all’esplosione della questione sociale. Si fonda su tipi di operai che hanno molte risorse nel luogo di lavoro (possiedono un mestiere, ne hanno abbastanza controllo), nel mercato del lavoro (il mestiere è prezioso, e scarso), nella comunità (sono cittadini ed elettori, anche se di origine straniera, attori e protagonisti della vita pubblica). Aristocrazia operaia, insomma. Sono, ripetono i socialisti di Milwaukee, “proletari ma non slummer”, “i membri più intelligenti, puliti e ben vestiti della classe operaia”, “i lavoratori meglio pagati e più colti”, conoscono il valore del voto e hanno il gusto della lotta politica elettorale. Possono guardare con speranza al sol dell’avvenire. Sono la testa, il cuore, lo zoccolo duro dell’ascesa e dei successi del SDP.
L’identificazione con gli operai di mestiere e la loro cultura civica germanica dà ai socialisti un senso di sicurezza che, nel tempo, si rivela fuorviante. Perché impedisce loro di affrontare il nodo cruciale delle trasformazioni in atto nei sistemi produttivi, e cioè lo sviluppo di un proletariato di fabbrica generico e di recente e diversa immigrazione, fatto di polacchi, italiani, ebrei. La novità è vissuta come una minaccia. I nuovi arrivati, si dice, ci portano via il lavoro, insieme con le macchine fanno quello che facevamo noi una volta, ci rendono superflui. Così succede in parecchi scioperi dopo il volgere del secolo, quando le trade unions sono espulse dalle officine siderurgiche e meccaniche, sono in difficoltà persino nei famosi birrifici per cui Milwaukee è famosa. Per giunta, si dice, i nuovi arrivati sono una massa informe, contadini incapaci di azione collettiva, spesso crumiri, scabs, strikebreakers. Il problema teorico di organizzare la nuova classe operaia industriale i socialisti se lo pongono, ma resta a livello teorico, senza risvolti immediati. La scommessa “sindacalista” degli Industrial Workers of the World non sembra una soluzione, anzi fa loro un po’ orrore. L’appello del SDP alla classe operaia diventa così un appello difensivo a un pezzo di classe operaia che è sulla difensiva, mentre la dinamica della class formation va in altre direzioni. L’industrial unionism diventa il cuore della politica operaia molto più tardi, negli anni 1930s, promosso da dirigenti di origine socialista (e ora anche comunista) – e confluisce, dirigenti e rank-and-file e tutto, nel partito democratico del New Deal. Quello, sì, diventa il “party of labor”.
I socialisti vincono e perdono grazie al sistema elettorale (vincono da terzo partito, perdono nella gara a due)
Il SDP ha dunque la sua base iniziale nei quartieri operai germanici (e austriaci), poi si estende gradualmente al ceto medio di lingua tedesca. In effetti riesce anche a penetrare un po’ nella più recente comunità etnica polacca, la seconda per dimensioni in città. Con una organizzazione politico-elettorale molto articolata, come tutti i partiti socialisti della Seconda internazionale (e i vecchi partiti americani ottocenteschi): club territoriali, 60 in città, 200 nello stato; club giovanili e club femminili; tessere e quote di iscrizione, forse 5000 iscritti; attivisti che sanno tutto dei residenti del loro quartiere; comizi e conferenze, balli e feste popolari, rapporti stretti con l’associazionismo del tempo libero (sport e ginnastica, musica, escursionismo, tiro a segno); diffusione dei più moderni mass media (volantini e opuscoli a tappeto, il settimanale Social-Democratic Herald e, dal 1911, il quotidiano Milwaukee Leader). Dopo il 1904 il SDP si proclama “partito di governo”, dichiara esaurito il serbatoio di voti operai, comincia a guardare fuori da sé, ad altri ceti sociali. Approfittando degli scandali che scuotono il governo municipale (in mano ai democratici), si proclama anche campione del “buon governo” e delle “mani pulite”, fa appello a tutte le persone oneste che vogliano battersi contro la corruzione della vecchia partitocrazia. E nel 1910 vince come partito di maggioranza relativa (plurality) in una gara a tre, contro democratici e repubblicani maggioritari nel loro complesso ma divisi fra loro. Vince grazie al sistema elettorale winner-take-all, chi arriva primo prende tutto.
Non più “terzo partito” minoritario e di testimonianza, il SDP aspira a prendere il posto di uno dei due attori del sistema bipartitico. E ci riesce. Avendo esso stesso introdotto la nuova linea di frattura e conflitto, il socialismo contro il resto del mondo, viene preso sul serio. Solo che così essere maggioranza relativa non basta più per arrivare primo. Tutte le altre forze politiche formano infatti una lista comune di opposizione. E nel 1912 la buttano sulla patria in pericolo. Raccolte dietro lo slogan “americanismo verso socialismo”, presentano candidati unitari e si riprendono City Hall, confermando di essere loro ad avere la maggioranza assoluta (majority) in città. I socialisti aumentano pure i loro voti, ma piuttosto inutilmente. Gli anti-socialisti convincono poi i legislatori statali a riformare lo statuto municipale di Milwaukee e a introdurre un sistema elettorale non-partisan (ancora in funzione oggi) che di fatto istituzionalizza, rende obbligatoria l’operazione politica che hanno appena portato a termine con buona fortuna. La nuova legge elettorale si inchina al sentimento anti-partitocratico e vieta le party labels nelle competizioni municipali; soprattutto impone che per ogni carica si tengano elezioni primarie che restringano a due i candidati finali. Le corse a tre nelle elezioni generali sono da allora impossibili. Solo un majority candidate può vincere, e per i socialisti i tempi si fanno difficili. Per molti versi, sono vittime del loro successo nell’aver cambiato la struttura della politica cittadina.
I socialisti vincono e perdono grazie al loro riformismo idealista e pratico (che viene assorbito dal movimento progressista)
Il SDP è un partito socialdemocratico (orgogliosamente mantiene il nome), discute di trasformazione socialista ma deve il suo successo al consenso degli elettori a una politica di riforme. Appartiene alla tradizione del socialismo gradualista, si definisce “evoluzionista” e “costruttivo”. A livello cittadino si propone di far funzionare il governo locale nell’interesse dei lavoratori, di dare risposte pratiche a domande immediate, domande bread-and-butter. Durante la loro amministrazione i socialisti migliorano la sanità pubblica, aumentano il salario minimo e introducono la giornata di otto ore nei lavori municipali, difensono i sindacati in sciopero, creano scuole serali per studenti lavoratori, progettano il sistema dei parchi urbani, rendono l’amministrazione più efficiente. Incarnano il socialismo municipale, invitano a collaborare i riformatori urbani middle-class (la sinistra rivoluzionaria nel partito nazionale parla con disprezzo di “socialismo delle fognature”). A livello statale i loro deputati nelle assemblee legislative si battono per riforme sociali e del lavoro impegnative e innovative, in accordo con i sindacati. Il futuro sindaco Hoan nel 1911 scrive il Workers’ Compensation Act, la prima legge nel paese che istituisca assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro. Negli stessi anni contribuiscono a regolare il lavoro infantile e femminile, a istituire scuole di avviamento professionale, più tardi ad adottare la prima legge statale sui contributi di disoccupazione.
I successi statali dei socialisti riformisti sono possibili grazie all’incontro e alla collaborazione, da junior partners in questo caso, con i riformatori progressisti – che finiscono per esserne la nemesi. Si tratta di politici e intellettuali ispirati dai repubblicani ribelli di Robert LaFollette, governatore e poi senatore fino agli anni 1920s, e dai professori della University of Wisconsin a Madison. Che intrecciano in maniera sperimentale retoriche populiste e suggestioni tecnocratiche, governo popolare e anti-partitismo, stato interventista e politiche sociali. E che stanno sviluppando una forma di nuovo liberalism attento alla questione della lotta di classe e propenso a darle una risposta riformatrice, appunto, tramite l’uso della mano pubblica, del big government. La confluenza dei progressisti con il riformismo socialista (e sindacale, socialista o meno che sia) è nelle cose, negli interessi comuni. Ma lo è anche la loro concorrenza e la loro maggiore potenza di fuoco, dato che acquistano una rilevanza nazionale che ai socialisti manca. L’esperienza progressista si estende al patchwork di welfare states (al plurale) che punteggiano la mappa federale del paese alla vigilia della Grande guerra; e poi approda alle proposte politiche nazionali di Woodrow Wilson, del Progressive Party del 1924 e infine del New Deal. Da Madison provengono parecchi esperti che disegnano le leggi-chiave di Franklin D. Roosevelt. Berger pensa che il lavoro dei progressisti favorisca “obiettivamente” il socialismo perché, dice, il socialismo è “lo sbocco logico del progressismo”. In effetti sembra vero il contrario, che il progressismo sia lo sbocco del suo socialismo.
I socialisti vincono e perdono grazie al loro anti-interventismo nella Grande guerra (celebrato come pacifismo, maledetto come anti-patriottismo)
Allo scoppio della Grande guerra in Europa, i socialisti americani sono fra gli anti-interventisti più intransigenti. Così intransigenti che, a differenza dei loro compagni altrove, restano coerenti anche quando nella guerra entra il loro paese, nell’aprile del 1917. Il Socialist Party nazionale dichiara pubblicamente la sua opposizione alla guerra imperialista. E ciò gli porta approvazione ma anche, com’è ovvio, un sacco di guai. Il SDP partecipa in prima linea a queste vicende, con un tocco specifico legato al carattere germanico della sua leadership e di gran parte della sua base di massa. Una botta di idealismo poco pratico, finalmente? L’uomo morale che agisce nella società immorale, costi quel che costi? Forse, fino a un certo punto. In effetti la scelta sembra pagare. I socialisti aumentano il loro consenso presso il ceto medio German-American che in alcune sue componenti coltiva un vero e proprio nazionalismo tedesco, e in molte altre simpatizza comunque con il paese d’origine; un paese con cui mantiene legami affettivi e d’interesse, diventato d’improvviso il nemico della loro patria d’adozione, dipinto a tinte fosche, da una fosca propaganda bellica, come popolato di “unni” assassini e stupratori. Aumentano il loro consenso anche presso l’opinione pacifista progressista, abbastanza diffusa nello stato grazie alla sfida anti-guerra lanciata dal senatore LaFollette. Prendono anche qualche voto in più. Nel novembre 1918 Berger è rieletto alla Camera dei rappresentanti. E tuttavia proprio questi modesti successi sono visti come segni sospetti di anti-patriottismo e anti-americanismo.
Lo scontro fra americanismo e socialismo delineatosi nel 1912 diventa più virulento, acquista un carattere etno-nazionalista incendiario, alla fine letale. Per ragioni che derivano dalle alleanze belliche in Europa, i socialisti pacifisti perdono il voto dei cittadini di origine polacca e italiana e di quelli che si considerano americani senza trattino. In effetti ne guadagnano l’ostilità aperta, con scene assai crude di caccia ai traditori. A Berger viene negato il seggio alla Camera appena conquistato. L’aggettivo un-American si attacca per sempre al nome “socialismo”. Per ragioni che riguardano lo sforzo bellico in patria, i socialisti perdono il rapporto privilegiato con il movimento sindacale. Le trade unions crescono negli anni di guerra, ma crescono nella misura in cui aderiscono alla politica di unità nazionale di Wilson: una scelta che si scontra con quella del partito. In Wisconsin sono gli stessi dirigenti socialisti dei sindacati a mollarlo, il partito, come strategia di sopravvivenza delle loro organizzazioni. E infine il colpo di grazia, che indica come le stelle si siano proprio allineate contro: per ragioni legate all’impatto rivoluzionario della guerra sulla sinistra di tutto il mondo, i riformisti del SDP si trovano indeboliti e isolati dalle scissioni comuniste. Proprio mentre la loro via elettorale è ostacolata dalla “paura rossa” in nome dell’anti-bolscevismo, è sbeffeggiata dai nuovi bolscevichi in nome dell’anti-revisionismo. Le loro speranze di diventare, a guerra finita, un centro di aggregazione per il socialismo riformista vanno deluse.
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