L’autore è Ben Fountain, e il libro è Beautiful Country Burn Again: Democracy, Rebellion, and Revolution (Ecco-HarperCollins, 2018). Questa è una rapida scheda di lettura, per ragioni di lavoro.
Molti dei capitoli più densi e importanti di questo libro, che accompagnano con cronache e meditazioni lo svolgersi della campagna elettorale del 2016, per le primarie e poi per le elezioni generali, derivano da lunghi reportage per il Guardian. Potrebbero essere fresche incursioni in presa diretta sugli eventi, e probabilmente lo sono, anche se (come dice Fountain stesso) gli originali erano pubblicati “in different form”. Quindi resta il dubbio che quelli raccolti qui nel libro possano contenere non solo aggiustamenti stilistici ma anche ripensamenti con il senno di poi. Ricordo di aver letto qualcuno degli originali sul quotidiano britannico, ma più non so.
Fountain è un ottimo reporter, con una prosa da romanziere – che poi è quello che Fountain è, un autore di fiction molto noto, rispettato, intervistato, premiato. Talvolta riecheggia i grandi scrittori-diventati-reporter del passato, tipo il Norman Mailer degli anni 1960s. Un reporter, inoltre, di buone letture storiche che traspaiono dal testo e che talvolta sono esplicitamente citate e discusse, anche con note a pié di pagina, soprattutto nei passaggi più analitici (compreso il prologo) o pensosi (la meditazione su Memorial Day e la guerra, per dire, o su razzismo e schiavitù, o sul patriottismo, o sulle origini dei New Democrats clintoniani – di Bill e di Hillary). Un reporter che dà buona profondità storica alle storie che racconta.
La prosa è godibilissima, a volte fa del libro un vero e e proprio page-turner (almeno per gli appassionati), è scintillante nelle descrizioni di ambienti e persone, con rapidi e abili salti di registro. Divertente e pungente, con frequenti pezzi di bravura (come quello sull’intervento di Cornel West a un comizio di Bernie Sanders). Con caratterizzazioni di persone e situazioni molto “citabili”.
Per dire, Donald Trump: “the consummate New York asshole”, oppure un “fat Elvis making the entrance for one of his gruesome late-life arena shows”; o ancora, “think of Pig Pen in Peanuts, the dirt cloud that swirls around him wherever he goes”.
E Sanders? Un “career socialist”, oppure “grandpa over there, the old white guy you see at every CVS badgering the poor pharmacist tech at the pickup counter”.
Il fondamentalista apocalittico Ted Cruz? “It’s hard to tell whether Cruz wants to prevent the apocalypse or hurry it along”.
L’elezione di Trump? “Like nine-eleven got voted in”.
L’eccezionalismo americano? “Political discourse as fairy tale, a made-up story for children”, uno strumento contundente durante la stagione elettorale: “candidates beating each other bloody with the American Exceptionalism stick”.
Trump che sdogana i tuoi peggiori pensieri, che ti autorizza a dirli ad alta voce? Ma meglio del sesso!
“This may be the most powerful medicine in politics, the leader who delivers a man to his natural self. To be acknowledged as you are, affirmed and blessed from above: one can imagine it as a spiritual experience. … What greater thrill besides sex to be delivered to yourself, liberated from the bad opinion of your enemies? Something of that ecstasy could be heard at Trump’s rallies, ‘Build that wall!’ and ‘Lock her up!’ bellowed like Romans watching lions sink their teeth into Christian flesh”.
Fountain è molto critico di quello che vede, critico a tutto campo, con una prospettiva politico-culturale chiaramente “da sinistra”, e parecchio arrabbiata. In effetti sembra odiare quello che la politica del paese è diventata, ma lo fa cercando di ragionare. Sottolinea uno dei punti centrali dei suoi sviluppi di lungo periodo: l’importanza della razza e del razzismo, e di tutte le varianti delle “Southern strategies” che nell’ultimo mezzo secolo sono state dei Repubblicani ma anche dei Democratici (comunque sa che la storia precedente è molto più complessa).
A dare un senso storico unitario a tutti i pezzi del racconto c’è l’idea che il paese possa essere alle soglie, o già nel mezzo, di una grande trasformazione o drammatica reinvenzione di se stesso, simile a quelle vissute intorno alla Guerra civile degli anni 1860s e alla Grande Depressione dei 1930s. Per dare nuova e più avanzata sostanza – pena una crisi ancora più profonda, la sua stessa sopravvivenza – ai suoi principi fondatori, riassunti nelle celebri parole della Dichiarazione di indipendenza. La prospettiva non è una grande novità per la comunità degli storici. E’ tuttavia una illustrazione vivace, penetrante, a volte geniale, di un anno pazzo.
- Il filo elettrico dell’eguaglianza: Lincoln e gli immigrati
- I Curdi in Normandia? Che cosa ha veramente detto Trump, o almeno avrebbe voluto dire, o almeno intendeva nella sua testa confusa.
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