
Ma insomma, può il Presidente degli Stati Uniti fare un po’ quello che gli pare con le tariffe doganali del suo paese? Non potrebbe secondo la Costituzione, perché la materia è di competenza del potere legislativo, del Congresso. Invece ora può, perché il Congresso stesso gli ha delegato l’autorità a farlo con una legge di mezzo secolo fa. Ma probabilmente proprio non può, perché per invocare la legge di mezzo secolo fa deve inventarsi una emergenza nazionale che invece non c’è.
Trattasi dunque di abuso di potere? Ma chi glielo va a dire?
Senza farla troppo lunga cominciamo dalla Costituzione, che per una volta è chiara, benché un po’ antiquata nel linguaggio (è roba del Settecento). L’Articolo I sezione 8 dice: “Il Congresso avrà il potere di imporre e riscuotere tasse, dazi, imposte e accise [Taxes, Duties, Imposts and Excises]…”. E più avanti aggiunge: anche “di regolare il commercio con le nazioni straniere…”. Quindi, cosa diavolo c’entra il Presidente?
Il Presidente c’è entrato piano piano, lì come in tante altre cose, nei due secoli e mezzo successivi. La parola magica è sempre stata emergenza, bellica o economica o tutt’e due. Durante la Grande guerra il Congresso ha ceduto al presidente Woodrow Wilson un po’ di potere sugli scambi commerciali con gli stati ostili o nemici. Durante la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale ne ha ceduto un altro po’ a Franklin D. Roosevelt. Nel corso della lunga crisi degli anni Settanta (stagnazione, crisi energetica, il prezzo del petrolio alle stelle, cose così) ha finito il lavoro approvando l’International Emergency Economic Powers Act.
Questa legge firmata da Jimmy Carter del 1977, nota in sigla come IEEPA, autorizza il Presidente a mettere le mani negli scambi internazionali imponendo sanzioni, bloccando transazioni, congelando beni, di fronte a una “minaccia inusuale e straordinaria… alla sicurezza nazionale, alla politica estera o all’economia degli Stati Uniti”; purché si tratti di una minaccia proveniente in tutto o in parte dall’estero. Per attivare la legge il Presidente deve fare una dichiarazione di “emergenza nazionale”, che è una dichiarazione molto tecnica, da rinnovarsi se del caso ogni anno.
Questa è esattamente la legge invocata da Donald Trump nei suoi executive order in proposito, a cominciare da quello del 2 aprile scorso. E’ lì che il Presidente dice che lo stato del commercio mondiale, la mancanza di reciprocità nei rapporti bilaterali, le barriere doganali e non doganali praticate dagli altri paesi che penalizzano gli Stati Uniti, i persistenti deficit americani negli scambi di beni, hanno creato la “minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale e all’economia” prevista dal IEEPA. Dichiara dunque una emergenza nazionale e usa i poteri d’emergenza che così gli competono.
Tutto ciò è un abuso di potere, dice il Brennan Center for Justice, un rispettato policy institute di tendenze progressiste presso la facoltà di legge di New York University (ma lo dice anche il conservatore, libertarian e liberista Cato Institute). Non c’è nessuna emergenza, nessuna minaccia alla sicurezza economica nazionale. I poteri d’emergenza conferiti dal IEEPA sono destinati a sanzionare stati ostili, non il mondo intero, e i dazi neanche vi sono nominati. Inoltre i poteri d’emergenza in generale servono per reagire con rapidità a una crisi improvvisa, non per affrontare problemi strutturali di lungo periodo. Per riscrivere la politica doganale del paese il Presidente ha una sola strada, chiedere al Congresso di fare leggi adeguate. Punto e basta.
Secondo il Brennan Center è molto difficile, nel caso specifico, imboccare la via politica, la via legislativa. Nell’immediato il Congresso potrebbe, volendo, adottare un bill che pone termine alla dichiarazione presidenziale dello stato d’emergenza. Ma questo atto, per essere efficace, dovrebbe essere a prova del veto del Presidente stesso, cioè essere approvato dai due terzi del membri di entrambe le camere. Una supermaggioranza che richiede un consenso bipartisan. Impresa difficile in generale, impossibile in questo Congresso spaccato in due e ben polarizzato.
Resta, come al solito, come tante altre volte in questi mesi, la via giudiziaria.
E così sta succedendo.
Alcune piccole imprese, fra le quali l’importatore newyorkese di vini VOS Selections (che importa anche dall’Italia, anche da Terricciola a Pisa, per dire), hanno fatto causa al presidente Trump. L’accusa è di non avere l’autorità per fare quello che fa, imporre tariffe a vanvera. Alla fine di maggio la U.S. Court of International Trade, un tribunale federale specializzato in commercio internazionale, ha dato loro ragione; un panel di tre giudici (nominati, rispettivamente, da Reagan, Obama e Trump) ha annullato i dazi perché illegali, “illegali per i ricorrenti e illegali per tutti”. Ma ha sospeso l’efficacia della sentenza in attesa del ricorso a un tribunale superiore. Giovedì 31 luglio comincerà così a discuterne la U.S. Court of Appeals for the Federal Circuit, a Washington. E si starà a vedere.
Comunque vada è assai probabile che la faccenda arrivi alla Corte Suprema.
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