Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Polemichette monumentali. Appunti su iconoclastia, puritanesimo, anti-occidente, anti-storia, correttezza politica

Mosè distrugge il vitello d’oro, miniatura (1445?)

Iconoclasti? Davvero sono iconoclasti quei militanti che, negli Stati Uniti ma anche altrove, attaccano certi monumenti, magari li vandalizzano, qualche volta li abbattono, più spesso ne chiedono e ottengono la rimozione da parte delle autorità? Davvero sono simpatizzanti iconoclasti quei cittadini (un po’ più numerosi dei militanti essendo i militanti, com’è ovvio, una esigua ancorché attiva minoranza) che guardano a questi atti con qualche simpatia e comprensione? 

In realtà sembra proprio di no. Lo si dice e si ripete un po’ di routine, e un po’ all’ingrosso, in tanti libri e articoli, e anche in alcune recensioni al mio libro I fastidi della storia. E tuttavia qualunque definizione di iconoclastia rinvia all’avversione al culto delle immagini in quanto tale, considerato di per sé una forma di idolatria e condannato da varie culture politiche e religiose, compresa quella biblica protestante. Nei casi americani contemporanei non c’è nulla di questo; forse c’era qualcosa ai tempi della giovanissima repubblica, retaggio delle performances dei rivoluzionari inglesi di metà Seicento, ma insomma, più di due secoli fa. Oggi c’è piuttosto l’avversione al culto di quelle immagini lì, di quelle icone specifiche lì, quelle e non altre, ritenute oltraggiose perché celebrano (non ricordano, celebrano nella pubblica piazza) personaggi storici ritenuti degli aguzzini. Altre immagini, altre icone sono le benvenute, addirittura desiderate, volute. Nuovi monumenti sono eretti di continuo, un profluvio di monumenti, dedicati a persone, a cause, a eventi, che rispecchiano altre prospettive sul mondo e sulla storia.

Puritani? Sono davvero espressione di una cultura puritana i protagonisti di questi movimenti e più in generale della cosiddetta cancel culture americana? Lo suggerisce (non da solo) anche Giorgio Caravale in un bell’articolone sul Foglio di sabato 5 agosto [La ruota della cancel culture]. Negli Stati Uniti di oggi ma anche di ieri mi sembra davvero difficile rintracciare qualcosa che possa essere definito puritanesimo. E’ piuttosto cosa dell’altro ieri, cioè, in effetti di prima della Rivoluzione, e riguarda (riguardava) un angolo piccolo e appartato del mondo coloniale britannico, bianco anglo-sassone protestante, WASP si sarebbe detto più tardi, in alcune aree della Nuova Inghilterra intorno a Massachusetts Bay.

Fuori di quell’angolo non c’era nulla allora, non nelle colonie centrali atlantiche tipo New York, New Jersey, Pennsylvania, comunità cosmopolite, multietniche e multireligiose, tolleranti e pluraliste, gente di mondo per forza di cose; e non nelle colonie meridionali dominate dalla Chiesa espiscopale legata alla Chiesa anglicana, la più liturgica e “cattolica” delle confessioni protestanti. Fuori di quell’angolo, e poi anche lì, non c’è stato nulla dopo di allora, nel corso dei secoli. Fra l’altro, il paese è diventato sempre meno WASP. E’ diventato sempre meno anglo-sassone e sempre meno protestante, con l’infusione di massa di immigrati irlandesi, polacchi, italiani, ebrei e infine, nell’ultimo mezzo secolo, ispanici. Ed è diventato sempre meno bianco. Se proprio si vuol vedere del fondamentalismo di origine religiosa nei movimenti iconoclastici (oddio ci son cascato anch’io, non per la prima volta), perché non pensare a una forma di bigottismo cattolico? E saranno puritani gli attivisti di discendenza africana di Black Lives Matter? E che dire dei Native Americans che ce l’hanno su con Cristoforo Colombo e il generale Custer? 

Anti-occidentale? E’ anti-occidentale prendersela con i monumenti? Il discorso “I Have a Dream” di Martin Luther King Jr., pronunciato a Washington il 28 agosto 1963, compie sessant’anni. Sulla Domenica del Sole 24 Ore del 20 agosto [We Have a Dream: La lezione di un sogno], Francesca Rigotti sottolinea giustamente come le radici del suo linguaggio siano tutte nella tradizione occidentale, dalla Bibbia ebraica al Nuovo testamento cristiano alla Dichiarazione di indipendenza americana. E non dipende solo dal fatto che a parlare sia un pastore protestante; tutta (quasi tutta) la retorica di liberazione dei movimenti afroamericani è così. Ma Rigotti dice anche: tuttavia oggi l’occidente è sotto attacco nell’occidente stesso, è considerato una cultura da cancellare, ci sono assalti alle statue nelle piazze, e così via. 

Per restare alla faccenda dei monumenti, credo che anche la ridiscussione continua della storia e dei suoi eroi da celebrare (ripeto: non da ricordare nei libri di storia o nei musei, ma da celebrare nella pubblica piazza) sia parte integrante della cultura occidentale, è roba nostra insomma, magari anche di altri, non lo so, ma certo nostra. E forse si potrebbe aggiungere che a fronte di alcuni monumenti rimossi (pochi), altri (parecchi) sono stati eretti ex novo. Per esempio proprio a King. Dacché è stato assassinato gliene sono stati dedicati una ottantina, è entrato nella Top 5 dei personaggi più monumentalizzati nel paese, al quarto posto subito dopo, nell’ordine, Lincoln, Washington e Colombo e prima di San Francesco d’Assisi. E nella Top 50, accanto ai tanti soliti maschi bianchi, compreso ancora il generale Lee, ci sono ora Harriet Tubman e Frederick Douglass, e anche il gran capo shawnee Tecumseh. Rosa Parks e le suffragiste e femministe stanno lentamente risalendo la corrente. Come dire, negli ultimi anni il Pantheon nazionale e se si vuole il Pantheon occidentale si è (un po’) allargato, arricchito, variegato, non si è ristretto, impoverito. Il canone occidentale contiene moltitudini, nulla è stato davvero cancellato.

POST SCRIPTUM

Anti-storici? Sono davvero anti-storici gli imbrattatori e, nel loro piccolo, i distruttori di monumenti? Qui la polemica investe una questione ricorrente nelle conversazioni fra noi non-americani, e anche fra gli indigeni: sono gli americani, in gran parte, gente senza memoria storica, senza senso della storia, gente fissata sul futuro? Le prove più convincenti, a conoscerle, sono di origine rivoluzionaria. Tipo Tom Paine: “Abbiamo la possibilità di cominciare da capo a costruire il mondo”.  Oppure, settant’anni dopo, Herman Melville: “Il passato è il libro di testo su cui hanno studiato i tiranni; il futuro sarà la bibbia degli uomini liberi”. Quale rivoluzione non ha pensato così, fare tabula rasa, spezzare il tempo, ricominciare a contarlo dall’anno zero, con nuovi calendari? Che sentimenti del genere siano rimasti nella cultura, nel linguaggio corrente, negli slogan pubblicitari, vuol dire che permane il sentimento anti-storico della rottura rivoluzionaria? Oppure vuol dire che è la rivoluzione a essere diventata storia viva, che la sua spinta propulsiva non si è esaurita? D’altra parte, che dire degli americani evocati alla fine del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald: “Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”? A voi la scelta.

Ma torniamo ai monumenti. In genere ci sono invisibili, non li vediamo, sono la muta carta da parati della nostra vita quotidiana. Finché qualcuno d’improvviso viene visto, cioè viene preso sul serio e diventa oggetto di culto o di critica per ciò che storicamente rappresenta, e che ritorna d’attualità. Perché ciò accada – perché, per esempio, quel bronzeo uomo a cavallo sia identificato come un generale che un secolo e mezzo fa difese la schiavitù, che un secolo fa fu messo in bella mostra come simbolo della segregazione razziale, una segregazione che è durata fino a ieri e che continua ad allungare la sua ombra sul presente – bene, perché ciò accada ci vuole senso della storia, e buona conoscenza della storia. Nessuno vuole cancellarla, la storia, ripulirla, disinfettarla, come sento dire. Credo che sia vero il contrario, si vuole recuperarla nella sua drammaticità, oltre la celebrazione sterilizzata (ri-ripeto: i monumenti celebrano, non ricordano) dei vincitori di allora. E anche oltre la vampata del vandalismo di piazza: si stanno facendo esperimenti di presentazione pubblica dei monumenti come oggetti del loro tempo che, come tutti i luoghi della memoria, dicono certe cose e altre ne nascondono. Come raccomanda la buona storia.

Politicamente corretti? Sono davvero, i presunti iconoclasti, l’espressione di una correttezza politica progressista o di estrema sinistra che diventa furia dogmatica? In alcuni casi sembra proprio di sì. Ma per affrontare una seria discussione sull’argomento converrebbe chiamare in causa anche l’altra parte contraente di quelle che negli Stati Uniti si chiamano le culture wars. E cioè la presenza storicamente prevalente nel panorama monumentale nazionale, e dogmaticamente difesa e riaffermata anche oggi dai conservatori e dall’estrema  destra, della correttezza patriottica. Trattasi di due correttezze in competizione e conflitto fra loro, che rispecchiano tradizioni con pedigree secolari. Dire quale sia nata prima (l’uovo o la gallina) è impossibile, e anche inutile, se non a fini di uso pubblico militarizzato della storia, cioè a fini di risse di fazione. 

Se poi, noi sì, beati noi, che abbiamo davvero senso storico e senso della storia, che siamo davvero virtuosamente interessati all’alterità del passato, che invochiamo la complessità dei processi storici e delle diverse voci che li animano con motivazioni magari per noi oscure – ecco, sarebbe bello se  provassimo noi stessi a non giudicare moralisticamente, esteticamente, anacronisticamente, cioè con la nostra personale versione di correttezza non-so-quale. E cercassimo invece di capire le ragioni degli altri non solo di ieri ma anche di oggi – in fin dei conti, che cosa diavolo ne sappiamo davvero del presente, se non lo interroghiamo con curiosità?

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8 risposte

  1. No, gli americani non sono iconoclasti e neppure puritani. Hanno solo, molto amplificato, quel difetto che ormai abbiamo anche noi: una memoria ultracorta e la voglia (o la necessità) di vivere in un eterno presente. Ed è un vizio contagioso, né discuto da anni con mia cugina che vive a NY da 40 anni ed è diventata più BLM degli estremisti BLM.
    Ne ho parlato più volte anche nel mio blog https://sergioferraiolo.com/2022/08/29/i-simboli-del-passato-fanno-male/
    In poche parole ritengo che gli americani, se oggi lo schiavismo (quello verso i neri) non c’è più, ritengono intollerabile che esistano segni del passato che (forse) celebrano chi sosteneva lo schiavismo o aveva schiavi, senza pensare che, allora, lo schiavismo era la normalità più assoluta. La missione di Colombo non era geografica ma per assicurare alla Spagna maggiori introiti, compresi gli schiavi. Anche Lincoln, il padre dell’abolizionismo, nel suo discorso di investitura alla campagna elettorale per la Presidenza, affermò di non aver intenzione di abolire le leggi schiaviste degli Stati del Sud. Poi ci ripensò.
    Vogliamo censurare [e cancellare] Cesare, Cleopatra, gli imperatori che hanno costruito glorie nel mondo perché avevano schiavi? Oggi sarebbe un obbrobrio, ma allora era la normalità. Basterebbe apporre una targa sotto questi monumenti [vedi la statua equestre di Roosevelt rimossa dall’ingresso del museo delle scienze] che spieghi al viandante come siamo orgogliosi di aver superato [non rimosso] un periodo della nostra storia glorioso per alcuni aspetti, obbrobbioso e umiliante per lo scarso rispetto dei diritti umani.
    La storia non si riscrive, si contestualizza.

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    • Mettere in discussione un monumento (invece di ignorarlo come facciamo tutti) vuol dire prenderlo sul serio e avere un profondo senso della storia lunga. Aggiungerò un quarto punto
      al mio post: Americani anti-storici? Ma non scherziamo.

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      • Qui non si tratta di mettere un monumenti, bensì di giudicare fatti antichi con gli occhi e il cervello di oggi (o della convenienza odierna)

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      • Se studia i monumenti nel momento in cui furono creati, scoprirà che non esiste una reale differenza fra i criteri di oggi e quelli di allora. Esiste solo una questione di potere, chi aveva allora il potere di fare la voce grossa e chi ce l’ha oggi. Quando fecero il Jefferson Memorial negli anni 1930s, erano così imbarazzati dalle sue posizioni sulla schiavitù che le manipolarono affinché sembrassero antischiaviste. Dopodiché il Jefferson Memorial è ancora su, come tantissimi monumenti ai generali sudisti schiavisti.

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  2. P.S.: non capisco perché nessuna voce si è levata per rimuovere dalle banconote da due dollari l’immagine del Presidente Jefferson, noto schiavista

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  3. Non metto in discussione le Sue idee. Ma la prego di leggere la testomonianza

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  4. Non mett9 in discussione le Sue idee ma La prego di leggere la testimonianza dello storico Vittorio Vidotti sulla opportunità di rimuovere l’ombelico con la scritta DUX che si trova al Foro Italico a Roma.
    Ne ho.parlato nel post;

    I simboli del passato fanno male?


    I simboli del passato fanno male?
    Partiamo da un obelisco. Roma è la città degli obelischi, moti trasportati dall’Egitto, altri edificati ai tempi dell’Impero. Uno, famosissimo, si trova al Foro Italico proprio vicinissimo allo Stadio Olimpico e per tutta la sua lunghezza, oltre 17 metri, porta incisa, in caratteri cubitali, la scritta “MUSSOLINI DUX”. È lì da 1932; talvolta qualcuno, da ultimo Laura Boldrini, quando era Presidente della Camera, propose di togliere via la “frase incriminata”. Non ci fu seguito dopo le giuste obiezioni di storici ed architetti. Posso citare lo storico Vittorio Vidotto che non può essere certo tacciato di vicinanza al Fascismo.

    Vidotto, in una intervista al quotidiano “il Foglio”, spiega perché non bisogna abbatterei simboli della nostra Storia, buona o cattiva che sia, e che non sono i simboli a fare la storia, tanto che il Partito Comunista Italiano celebrò proprio al Foro italico, sotto quell’obelisco, la festa per il ritorno all’attività politica di Palmiro Togliatti dopo l’attentato, dimostrando che le scritte del ventennio, di cui Roma è piena, non smuovono voti.

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