
Il 14 giugno 2025 è considerato il 250° anniversario della fondazione dell’esercito degli Stati Uniti, almeno nella sua forma di Continental Army, l’esercito rivoluzionario di George Washington creato dalle tredici colonie in rivolta il 14 giugno 1775. Quando gli Stati Uniti ancora non esistevano (la fondazione di U.S. Army nella forma attuale avvenne nel 1784). Il 14 giugno 2025 è anche, si suppone per caso, il compleanno dell’attuale presidente Trump, che compie 79 anni. E questa è ai suoi occhi una golosa coincidenza da celebrare con gran sventolio di bandiere e con una gran parata militare a Washington, come in genere non se ne vedono nel paese, armi pesanti e tutto, tipo Piazza Rossa insomma.
Sabato 14 giugno ci sono anche manifestazioni di protesta in tutto il paese contro la politica autoritaria di Trump. Lo slogan è “No Kings” (vedi) per dire l’ovvio, e cioè che gli Stati Uniti si sono liberati di un monarca 249 anni fa, e che solo prima di allora, nell’antico regime, si festeggiava il compleanno del re vivente. Le manifestazioni sono un paio di migliaia, organizzate da centinaia di associazioni e sindacati, nelle grandi città e nelle comunità più piccole (dalle parti che ho frequentato io, per dire, sono una sessantina in Wisconsin, una trentina in Indiana). Il rally nazionale è a Filadelfia, per tutti i motivi storico-patriottici immaginabili. Non c’è alcun rally a Washington, per evitare incidenti o provocazioni trumpiane.
Il 14 giugno è infine Flag Day, il giorno che ricorda l’adozione della bandiera a stelle e strisce come bandiera nazionale. Adozione avvenuta il 14 giugno 1777, l’anno dopo l’indipendenza. Una bandiera rivoluzionaria e repubblicana. Non tutti lo sanno di questa festa, soprattutto fra quei progressisti che ignorano quanto sia importante la bandiera per molti loro concittadini, e la considerano solo un simbolo nazionalista di destra (un po’ plebeo anche). E quindi, come spesso è accaduto, la lasciano alla destra nazionalista e xenofoba. I promotori di “No Kings” qualcosa sanno, sembra di capire. E infatti dicono: “La bandiera non appartiene al Presidente Trump. Appartiene a noi”.
Comica finale. Ieri, in uno scambio di battute, alla domanda se si senta un re, Trump, che a volte ha giocato con una sua immagine regale o simil-regale, ha risposto: “Non mi sento un re, devo attraversare l’inferno per far approvare le cose”. E poi ha concluso: “No, no. Non siamo un re. Non siamo affatto un re, grazie molte”. We’re not a king. Solo al pensiero, gli è scattato il plurale maiestatis.
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Normale, dopo aver accolto con entusiasmo la sua immagine vestito da Papa, che usi il pluralis maiestatis
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