Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

I sondaggi? Niente luna di miele per Donald Trump  

Niente luna di miele per Donald Trump.  

Secondo l’istituto di sondaggi Gallup, a metà marzo solo il 43% degli americani ha approvato l’operato del presidente in carica, in discesa rispetto al 47% di fine gennaio.

Inoltre quel 43% è un record.

È il tasso di approvazione più basso di tutti i presidenti dagli anni Cinquanta in poi in fasi paragonabili delle loro amministrazioni, cioè a due mesi dal giorno dell’insediamento del loro primo o secondo mandato.  L’unica eccezione è Trump stesso all’inizio della sua prima presidenza, nel marzo del 2017, con il 42%. 

I sondaggi di altri istituti, condotti in periodi più recenti, fino all’inizio di aprile, confermano queste percentuali di approvazione. C’è dunque il 43% di Reuters/Ipsos, il 46% di Economist/YouGov, un migliore 49% di Harvard/Harris. Qualcosa a livello statale? Ecco il 39% in Colorado e il 42% in Michigan e poi, in controtendenza, il 60% in South Dakota. Comunque sono troppo pochi casi, almeno per me, qui e ora, per farmi individuare dei patterns regionali. 

Tornando a Gallup, lì c’è qualche aiuto (vedi). I dati aggregati per i primi 3 sondaggi dell’anno, a fine gennaio, metà febbraio e metà marzo, dicono che il tasso medio nazionale di approvazione di Trump è del 45% mentre è un poco più alto nel Sud (finalmente un 50%) e nel Midwest (47%), un poco più basso nell’Est (41%) e nel West (39%).

Questi dati aggregati dicono anche altre cose. Intanto che il tasso di approvazione è abbastanza stratificato per razza, genere e istruzione. È migliore della media fra gli uomini (54%), i bianchi (51%) e chi non è andato al college (49%), mentre è inferiore alla media fra le donne (36%), gli afroamericani (giù al 22%) e i laureati (39%). 

Fin qui trattasi di senso comune, visto quello che si sa delle simpatie sociali filo-trumpiane. E cioè che il tipo o lo streotipo del simpatizzante trumpiano sia un maschio bianco non laureato del Sud o del Midwest (e di mezza età, e sposato, aggiungo pescando da altri dati).

Quello che invece è un po’ sorprendente rispetto alla narrativa corrente è la stratificazione per reddito. A essere più soddisfatti di Trump, con percentuali più alte della media (50%), sono gli americani di reddito più elevato, superiore ai 100.000 dollari l’anno. A essere meno soddisfatti (37%) sono gli americani a più basso reddito, inferiore ai 50.000 dollari l’anno. Qui per ragionare meglio dovrei avere dati più raffinati. Sopra i 100.000 dollari lordi, prima delle tasse, non si è ricchi, e sotto i 50.000 c’è spazio per condizioni famigliari (household) molto diverse. 

E tuttavia, in soldoni, si può ben dire che siano più soddisfatti di Trump gli americani benestanti degli americani di mezzi modesti o poveri. 

Infine, più prevedibilmente, ma direi con una maggiore radicalità del previsto, c’è la frattura delle preferenze politiche e partitiche. I conservatori approvano la performance di Trump all’80%, i liberal appena al 6%. 

E soprattutto i repubblicani sono entusiasti al 92%, i democratici sono tirchissimi al 5% e  per il resto mettono tutto il loro entusiasmo nel disapprovare. E si tratta di opinioni favorevoli o contrarie coltivate quasi al 100% strongly, not moderately, ci mancherebbe altro – con forza e convinzione. 

Post Scriptum. Rispetto ai valori medi di approvazione del primo mandato (2017-2021) Trump ha un modesto miglioramento generale in questo inizio di secondo mandato, dal 42 al 45%. Analizzando i tassi di approvazione dei singoli gruppi è possibile ipotizzare da dove il miglioramento venga. A spingerlo sono soprattutto i conservatori (dal 73 all’80%) e i repubblicani (dall’87% al 92%) che si compattano, si stringono a coorte. Poi ci sono gli uomini (dal 48 al 54%) e i cittadini di meno di 50 anni (più 6 punti). E infine le novità che partono da livelli molto bassi, gli ispanici (dal 22 al 37%) e gli afroamericani (dal 13 al 22%).

Tuttavia attenzione, questi numeri vanno presi con le molle. I primi sono medie che raccontano quattro anni di sondaggi, i secondi solo tre mesi. 

Free bonus. La tabella qui sotto illustra un’altra storia, quella della notissima crescente polarizzazione nelle elezioni presidenziali. Nei cari vecchi tempi i presidenti partivano sempre con buone scorte di approvazione da parte degli elettori del partito avverso al proprio. Eisenhower con il 60% addirittura (troppo facile), Kennedy con il 52%, Nixon con il 45%, Carter con il 49%, riserve di benevolenza ricchissime, a pensarci ai tempi d’oggi.

Con Reagan si comincia a scendere un poco, il 38% per lui e per Bush Sr, il 33% per Clinton, il 32% per Bush Jr, si risale con il 43% per Obama. Poi c’è il precipizio, il salto nel vuoto. Trump 1 con il 14%, Biden, con l’11%, Trump 2 con il 6%. L’eletto è ormai il nemico, fin dal primo giorno. 

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