
In vari articoli su questo blog ho cercato di raccontare quanto la presidenza Biden sia stata trasformativa, abbia varato più programmi di riforma di ogni amministrazione democratica dai tempi di Johnson, forse di Roosevelt. Programmi enormi e costosi, con investimenti di centinaia di miliardi di dollari in decine di migliaia di progetti infrastrutturali di vario tipo. Con un approccio politico che ha proposto l’avvento di un’epoca post-neoliberal, il ritorno all’uso vigoroso del governo federale come agenzia positiva, il ritorno al big government. Si tratta di programmi sistemici, di lungo periodo, i cui effetti non sono immediati ma si sentiranno negli anni, nei decenni, se non saranno messi in soffitta da Trump.
Confortato anche (vedi qui) da un lungo articolo del New Yorker, ho sottolineato come di questi importanti sviluppi fattuali e politici si sia detto quasi niente durante la campagna elettorale, prima e dopo il ritiro di Biden, tanto più dopo il passaggio del testimone a Harris. Biden stesso se ne lamenta, dice: avrei dovuto scrivere sopra a ogni progetto, “Questo l’ha fatto Joe”. Invece non l’ha fatto, come se ci fosse una sorta di timidezza, per motivi che magari qualcuno ha indagato, io non saprei. Ne riparlo ora solo perché vedo con qualche sorpresa che, a giochi fatti, a elezioni perse, un po’ tardi dunque, la timidezza sembra superata, almeno sui social media.
Con una serie di post (qui ne copio alcuni dal feed di Facebook) la Casa bianca rivendica le sue realizzazioni dell’ultimo quadriennio. Le presenta come un’importante eredità, il lascito dell’amministrazione Biden-Harris al paese. Passa anche la parola al segretario ai trasporti e alle infrastrutture Buttigieg, che dà loro un nome, The Big Deal. Pete Buttigieg, con tutta evidenza l’erede in pectore.


- Chi vince e chi perde (appunti con molte parentesi)
- I Mangione del Maryland, dove avevo già sentito quel cognome?
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