Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Alla convenzione democratica di Chicago ci vogliamo tutti bene, con gioia 

D’accordo, ci vogliamo tutti bene, proclamano i democratici riuniti a congresso. Ci vogliamo bene con tutti, tranne che con Donald Trump. “An unserious man” (un bel titolo cinematografico alla Coen Brothers), dice Kamala Harris nel discorso di accettazione della nomination, che avrebbe conseguenze molto serie se dovesse ritornare alla Casa bianca. D’altra parte per fortuna che c’è lui, il suo linguaggio da American carnage, la sua ostile ombra dark sono la colla che tiene insieme il partito, che ne fa una macchina da guerra con una ferrea disciplina del tutto inusuale. Di Trump si è forse parlato anche troppo alla Democratic National Convention, talvolta attribuendogli malvage intenzioni altrui, il famoso Project 2025 non è roba sua e il programma del partito repubblicano scritto da lui contiene cose che lo contraddicono (tipo il giuramento di non toccare assistenza sanitaria e pensioni). Ma tant’è, così va la retorica della campagna elettorale. 

Nella vita reale, ovviamente, si tratta di persuadere non Trump ma un po’ di suoi elettori, quelli che alla sua ombra demoniaca danno corpo. La convention ha ospitato alcuni leader repubblicani anti-Trump, uno di loro ha detto rivolgendosi ai suoi ex compagni di partito e ai loro elettori, là fuori: ho una notizia per voi, anche i Dems amano il paese, sono buoni patrioti, sono insomma gente come noi (che un simile messaggio sembri necessario la dice lunga). E’ invece mancato qualche Dem che dicesse, anche tanti trumpiani amano il paese, Trump no ma gli altri sì, vogliamo dialogare anche con loro, anche con voi. Ha suggerito qualcosa del genere Pete Buttigieg: lo so che mi avete visto su Fox News, annuncia, ma io parlo con tutti, dobbiamo parlare con tutti. E’ buona politica, serve per vincere.

Comunque, che parata di talenti.

Si diceva, se non Joe Biden, chi? E poi, se non Kamala Harris, chi? La convention ha mostrato non l’emergere ma la presenza consolidata (e in effetti ben nota) di un ceto dirigente fatto di persone di esperienza e di qualità, con l’età giusta, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere al posto di Harris o di Tim Walz, ciascuna con difetti e virtù ma nel complesso ben spendibile. Governatori come Walz appunto, legislatori come Harris, amministratori in carriera come Buttigieg, dirigenti sindacali come Shawn Fain. E tante donne, donne bianche come la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, donne di colore, donne di tutti i colori. E tante persone di più giovane età che, lo si vede bene, stanno studiando per quello che vorrebbero fare da grandi, leader non di fazione ma di tutto il partito. A cominciare, sembra di capire, da Alexandria Ocasio-Cortez. 

Insomma, come si dice negli sport di squadra, c’è a disposizione una deep bench, una “panchina lunga” di giocatori di riserva in attesa di scendere in campo, e tutti di prima scelta. Le vicende straordinarie delle ultime settimane hanno impedito loro di entrare in aperta competizione, l’urgenza ha avuto la meglio. E no, non si è trattato di un coup, di un golpe, come ha scritto anche una giornalista un po’ freak del New York Times, ma del partito che ha agito con efficacia e rapidità (di nuovo: inusuali) da partito. Se i Dems avessero agito da partito quando era il momento, non in stato di emergenza ma alla fine dell’anno scorso, superando cecità collettive e orgogli personali, ci sarebbe stata una regolare stagione di primarie. E ogni personalità avrebbe potuto giocare le sue carte, articolare visioni, sviluppare programmi, approfondire policies

E invece poche policies si sono viste, e di politica estera, quasi niente.

Di policies e di politica estera ha parlato più il presidente Biden guardando indietro, per celebrare un bilancio, che gli altri guardando avanti. Anche perché sembra si dia per scontato che la filosofia di governo rimarrà la stessa, ritorno del big government in politica economica e sociale, mantenimento delle alleanze e degli impegni internazionali tradizionali, la Cina non vincerà, l’Ucraina sì. Le conventions non sono luoghi di dettagli ma di ampli sentimenti, e in genere si guardano l’ombelico, lo stato della società, la politica interna. In questo caso c’è stata un’America middle-class (che include anche la working class) assorbita da se stessa, dalla propria crisi, dai modi per uscirne. E sì, su questo qualche dettaglio in più è emerso, i child tax credits, l’edilizia popolare sovvenzionata, nel discorso conclusivo di Harris.

Che io sappia (ho seguito molto ma non tutto) nei quattro giorni non ci sono stati contributi specifici di politica estera, solo pep talks. Ci sono stati alcuni passaggi in Biden, appunto, e alla fine in Harris, compreso i passaggi sulla faccenda più scottante di tutte, il Medio Oriente. Particolarmente scottante perché lacera pezzi di elettorato democratico, di fede ebraica da una parte, Palestinian-American dall’altra. Harris ha evocato il diritto di Israele di difendersi ma anche le sofferenze della gente di Gaza e il diritto dei palestinesi all’auto-determinazione. Parole che sono state accolte da un enorme insistito applauso (proprio allo stesso modo sono state accolte parole simili del vecchio socialista e vecchio ebreo di Brooklyn, Bernie Sanders). Come se i delegati avessero fame di qualcosa in più.

Perché non è stato dato loro qualcosa di più?  

Ai congressiti si sono rivolti, con parole giuste, i genitori di un ostaggio israelo-americano rapito da Hamas e tenuto sequestrato da qualche parte a Gaza. Lo stesso palco non è stato invece concesso ad alcune decine di delegati uncommitted, in gran parte Palestinian-American, espressione di elettori che alle primarie in Michigan e Minnesota non hanno votato Biden per protesta contro il suo appoggio a Israele. “Sono un insider, lavoro nel sistema”, dice il loro leader. Ma no, non ha avuto neanche i soliti pochi minuti che non si sono negati a nessuno. Si temeva che rovinasse la festa con qualche nota stonata? Forse, lui e i suoi compagni, li si preferisce fuori del sistema, accanto a quelli (in effetti pochi, meno del previsto) che manifestano in strada contro Genocide Joe e Killer Kamala, nomignoli alla Trump che non son venuti in mente a Trump?  

Come diceva quello, peggio di un errore, una stupidaggine un po’ meschina. Essa sì una inutile stonatura nel generale, ottimistico, un po’ mieloso inno alla gioia con cui si è conclusa la Democratic National Convention dell’anno del Signore 2024.

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