
Di nuovo a Chicago, dunque, come nel fatale agosto 1968?
Quando la convention del partito democratico nominò candidato alla Casa bianca il vice presidente in carica Hubert Humphrey, proprio come Kamala Harris? Avendo il presidente Lyndon B. Johnson rinunciato a correre per un secondo pieno mandato, proprio come Joe Biden? Mentre nelle strade della città infuriavano le proteste giovanili contro una guerra in corso in Vietnam, proprio come quella a Gaza? Troppe eco di eventi e personalità di oggi (fra l’altro, Humphrey era un liberal progressista del Minnesota come Tim Walz), che potrebbero anche non essere benauguranti per il partito? Visto che allora, a novembre, i democratici persero le elezioni in uno scontro che segnò la fine del loro predominio nazionale, l’epoca del lungo New Deal?
Ma no, non è detto che sia così, le analogie sono una trappola della storia, comunque sono sempre imperfette, si illudono di saperla lunga, ma non è vero.
I democratici non persero le elezioni di quell’anno perché pasticciarono con le candidature, perché pezzi di dirigenza, di apparato e soprattutto di elettorato si ribellarono, nel bel mezzo della stagione delle primarie, alla leadership di Johnson convincendolo al ritiro. Non le persero per i drammi di quella stagione, l’assassinio di Robert F. Kennedy subito dopo quello di Martin Luther King, Jr. Non le persero perché anche alla convention continuarono le divisioni politiche e le lotte di fazioni, sul Vietnam e su altro. Che diamine, i democratici sono fatti così, sono larghi, larghissimi, plurali, pluralissimi, dacché esistono.
Allora come oggi.
Non le persero neanche perché i giovani contestatori e la polizia fecero casino sotto le finestre della convention, al culmine di uno dei più importanti movimenti di protesta nella storia nazionale. I manifestanti più radicali vennero annunciando azioni bellicose, eclatanti, provocatorie, nessuna delle quali fu davvero messa in atto. Furono invece maltrattati con violenza dalla polizia del sindaco (democratico) della città, Richard Daley. E si sa come va il mondo quando succedono queste cose, l’opinione pubblica si divide, c’è chi simpatizza per la polizia e chi, come fecero allora molti mass media, parla di forze dell’ordine fuori controllo, di police riots.
La prossima settimana, nelle strade di Chicago, tutto deve ancora succedere.
I democratici persero le elezioni non per i loro peccati ma per le loro opere di bene. Le persero perché avevano adottato le leggi sui diritti civili degli afroamericani. E per questo furono abbandonati in massa dai democratici bianchi del Sud, da un secolo fedeli, che si misero a votare per un terzo partito indipendente. Spaccando così il tradizionale zoccolo duro del partito. La gara presidenziale, a novembre, ebbe infatti tre protagonisti, non due. Ed è ben noto che nel sistema partitico elettorale yankee, abituato a produrre bipartitismo, se presenti una candidatura scissionista figlia di un partito, è perché vuoi vedere quel partito dissanguato, morto.
Che è successo a Robert F. Kennedy, Jr.?
Non fu dunque Richard Nixon a sconfiggere per sue virtù il candidato democratico (peraltro per un pelo). Fu piuttosto George Wallace con il suo American Party razzista, concepito nel cuore lily-white, bianco come il giglio, dell’Alabama e dell’ex Sud confederato di Via col vento. Anche se, in effetti, Nixon cercò di sfruttare proteste e disordini e pregiudizi razziali invocando “legge e ordine” e il consenso della “maggioranza silenziosa”. E’ curioso, entrambe sono caratteristiche banali, scontate, di una democrazia fondata sullo stato di diritto e sul governo della maggioranza (non di minoranze agitate), e tuttavia in certi contesti diventano slogan di paura, di insicurezza, di emergenza.
Chissà come funzioneranno in questo contesto?
Da quella congiuntura nacque una nuova maggioranza conservatrice, con i voti bianchi di Wallace traghettati sotto l’ala del partito repubblicano, e lì accasati fino a oggi. Nixon aveva sperato che sarebbe andata a finire così e ci costruì sopra la strategia per costruire il futuro del suo partito, la “Southern Strategy”. Johnson aveva previsto che sarebbe andata a finire così, e aveva accettato il prezzo che il suo partito democratico avrebbe pagato. Si dice che alla firma del Civil Rights Act del 1964 dicesse “Abbiamo perso il Sud per una generazione”. Il Sud e quindi il paese, per una generazione.
C’è chi pensa che il lungo, semisecolare ordine conservatore e repubblicano nato allora dovrebbe essere agli sgoccioli, vicino a completare il suo ciclo. E’ dall’elezione di Barack Obama nel 2008 che alcuni esperti ne attendono il tracollo definitivo. Ci aveva scommesso su, nel 2020, anche il presidente Biden.
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