Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Affrontare un attentatore e sopravvivergli: Teddy Roosevelt a Milwaukee nel 1912

Il 14 ottobre 1912, a Milwaukee, nel Wisconsin, guarda un po’ il caso, o il fato, o il disegno di qualcuno, proprio nella città dove da domani si terrà la convenzione nazionale repubblicana, fu Theodore Roosevelt ad affrontare un attentatore e a uscirne vivo. Con una teatralità e una sapienza mediatica che nulla ha da invidiare a quella di Donald Trump – e naturalmente tutti i possibili paragoni si fermano qui. 

Da repubblicano, Teddy Roosevelt era già stato presidente per quasi otto anni, lo era diventato da vice-presidente quando William McKinley fu assassinato nel 1901 da un anarchico polacco (in certe menti, la faccenda non era affatto chiara, chi c’era dietro quella strana successione?). Ora correva di nuovo per la Casa Bianca come candidato di un terzo partito indipendente, il Progressive Party. Poteva farlo perché ancora non c’era il divieto costituzionale che oggi lo vieterebbe, ma quelli erano tempi innocenti benché, come oggi, pieni di pistole e pistoleri. 

Bene, in quel giorno d’autunno di un anno elettorale elettrizzante (è in gioco la democrazia americana!, diceva Roosevelt, “Siamo a Armageddon e combattiamo per il Signore!”), durante un comizio, un tale John Schrank gli puntò contro una Colt .38.

E sparò, ferendolo al petto. 

Negli istanti frenetici e confusi che seguirono, Roosevelt esibì le sue virtù virili (avrebbe detto lui) di auto-controllo. In pubblico fu larger-than-life e generoso, tenne personalmente a distanza i presenti infuriati che chiedevano giustizia sommaria dello sparatore, urlò un perentorio “Fermatevi! Non voglio che gli si torca un capello”. In privato mostrò freddezza e  cinismo sotto stress. “Non m’importava che l’uomo venisse ucciso sull’istante, ma non ritenni saggio e opportuno permettere che venisse ucciso di fronte ai miei occhi, nel caso fossi sopravissuto”, scrisse settimane dopo a un amico. E soprattutto, pur ferito, insistette per tenere il discorso, assaporando la drammaticità del momento e, d’istinto, spremendone tutte le potenzialità per rifinire il suo personaggio e guadagnare simpatie alla sua causa. Nel modo consueto, e cioè negando che ciò minimamente gli importasse.

“Per mia fortuna avevo il manoscritto del discorso nella tasca della giacca!”, esclamò, agitando dal palco un fascio di carte bruciacchiate dalla palla. Erano una cinquantina di pagine piegate in due, praticamente un giubbotto antiproiettile, che deviarono insieme all’astuccio degli occhiali il colpo fatale, rendendolo molto meno fatale. 

“Questo manoscritto mi ha salvato la vita. Vedete questo buco? Di qui è passato il proiettile. Senza questo provvidenziale riparo mi avrebbe forato il cuore. L’incidente sarà di solenne ammonimento per gli americani. Per conto mio, ho da pensare a troppe cose importanti per curarmi della morte. Vi dico la verità schietta: quello che più mi interessa è la vittoria della causa progressista, cui mi sono dedicato con tutta l’anima. Questa agitazione per il miglioramento dell’umanità mi sta a cuore più della vita. Non vi dico questo per fare effetto. Il mio successo personale non mi importa nulla!”

Uragano di applausi.

Roosevelt si sbottonò la giacca e il panciotto e mostrò alla platea la camicia lorda di sangue, proseguendo con eloquenza vigorosa appena frenata da spasmi di dolore, in effetti spasmi ben ritmati. 

“L’assassino si era nascosto nel buio. Faccia a faccia non avrebbe osato affrontarmi… E’ naturale che delle menti deboli si lascino infiammare, fino a commettere un atto di folle violenza, dalle calunniose accuse lanciate contro di me, da tre mesi in qua, dai giornali che servono gli interessi del presidente [repubblicano] Taft e del [candidato democratico] dottor Wilson!” 

“Dal mio partito invece”, aggiunse subito dopo aver calunniato i suoi avversari politici, “la calunnia è bandita e tutti i miei seguaci che ne usassero sarebbero da me sconfessati”.

Parlò per quasi un’ora, poco per i tempi, prima di farsi medicare.

La “mente debole” apparteneva a un cittadino di origini germaniche, bavaresi. Un socialista, forse, in quello stato del Wisconsin dove il socialismo era tanto forte da meritare, fra i compagni italiani, l’appellativo di “Emilia americana”? Così suggerirono le prime insinuazioni anti-socialiste. O non piuttosto un cattolico apostolico romano assai zelante, come suggerirono invece le prime insinuazioni anti-cattoliche? Un forsennato, un pazzo? Un pazzo con le allucinazioni! Ecco, un bettoliere benestante di New York che aveva seguito Roosevelt per settimane perché si sentiva chiamato a ucciderlo! 

Era stato il presidente McKinley ad apparirgli in sogno e a ordinargli: 

“Roosevelt è il mio assassino! Vendicate la mia morte!”

Una vendetta fredda, un complotto concepito in Cielo o nel Grande Aldilà. Che sono i luoghi dove sono concepiti i complotti che amiamo di più, quelli che fanno della storia qualcosa di elementare, di trasparente e insieme misterioso, un soddisfacente romanzo d’appendice.

P.S. Teddy Roosevelt portò in petto la pallottola per il resto della vita, era più pericoloso toglierla che lasciarla lì dove si era fermata. John Schrank fu chiarato malato di mente e passò il resto della sua vita in un ospedale psichiatrico. Secondo quanto riferito dai custodi, fu lieto che Roosevelt non riuscisse a farsi rieleggere. E quando nel 1932 fu eletto Franklin D. Roosevelt, di Teddy lontano parente, disse che, se fosse stato libero, avrebbe in qualche modo interferito. 

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