Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Antiche letture feroci: Metafisica dell’odio per gli indiani, ovvero il suo epitaffio è Terrore! 

Copio alcune pagine da L’uomo di fiducia (Una mascherata), di Herman Melville, forse il suo romanzo meno noto e più dark, picaresco, drammatico, ironico, satirico, strampalato. Il protagonista del titolo è, nell’originale, un confidence man, cioè un impostore, il tipo di truffatore che truffa il prossimo carpendo la sua fiducia. Fa il suo lavoro su un battello a vapore (il Fidèle) che discende il Mississippi verso New Orleans, e potrebbe addirittura essere il diavolo in alcuni dei suoi più riusciti travestimenti.

L’intreccio di storie, gente che va gente che viene, si svolge in un unico giorno, Fool’s Day, il primo d’aprile, che è anche il giorno in cui il libro fu pubblicato nel 1857. Quella dell’odiatore di indiani è una delle tante storie raccontate, a cominciare dal capitolo 26, intitolato Contenente la metafisica dell’odio per gli indiani, secondo le vedute di uno evidentemente non tanto prevenuto a favore dei selvaggi quanto Rousseau. La traduzione del testo è di Sergio Perosa nell’edizione Feltrinelli 1984  (alle pp. 151-152 e 154-155).

L’istinto d’ostilità contro l’indiano cresce nell’uomo di frontiera col senso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, ed egli impara in un sol colpo che bisogna amare il fratello e odiare l’indiano.

“Questi sono i fatti” diceva il giudice “che bisogna tener d’occhio se si vuol moraleggiare. E’ orribile che una creatura debba considerarne un’altra a questo modo, debba aborrire in coscienza un’intera razza. E’ tremendo: ma è forse sorprendente? E’ sorprendente odiare una razza che si crede rossa per un motivo analogo a quello che rende verdi certe tribù d’insetti floreali? Una razza che nelle zone di frontiera è un memento mori: che viene dipinta in pessima luce per ogni verso: ladra di cavalli come quelli di Moyamensing; assassina come un tagliagola di New York; spregiatrice dei trattati come un austriaco; ora pellegrina con frecce avvelenate, ora omicida giudiziaria al pari di Jeffries, che condanna a morte sanguinosa la sua vittima dopo una feroce farsa di processo; che come un ebreo attira in un’imboscata con discorsi ospitali un forestiero allo stremo delle forze, per sopprimerlo senza lasciar traccia, e la considera azione gradita a Manitou, suo dio”.

“Tuttavia questo viene riferito non tanto come verità oggettiva, quanto per esemplificare l’idea che l’uomo di frontiera si fa dell’indiano – un’idea che ad una persona caritatevole sembrerebbe magari peccare di ingiustizia nei suoi riguardi. Di sicuro, questa è l’opinione degli indiani, e unanime. Gli indiani protestano davvero contro l’idea che l’uomo di frontiera ha di loro, e qualcuno pensa che una delle ragioni per cui gli ricambia con tanta sincerità la sua ostilità è l’indignazione morale di sentirsi così calunniati, come realmente credono e dicono di essere. […] D’altro canto, quei pellerossa che più ostinatamente sostengono la teoria della virtù e della bontà indiana, sono talvolta i più incalliti ladri di cavalli e branditori di scuri. Così almeno afferma l’uomo di frontiera: […] la supposizione che quando un pellerossa armato di scure avanza l’idea della bontà della razza rossa, l’affermazione fa parte della sottile strategia che egli trova così utile in guerra, a caccia e nella generale condotta della vita”. 

[…]  

Odiatore d’indiani par excellence il giudice definiva “chi, avendo succhiato col latte della madre poco amore pei pellerossa, in giovinezza o nella prima virilità, prima che la sensibilità si indurisca, riceve per loro mano un torto di prima forza, ovvero – il che è lo stesso – lo vede perpetrato su un parente o un amico. Ora, siccome la natura circostante lo invita o lo costringe, con la sua solittdine, a meditare sul fatto, egli non può esimersi dal farlo, e il pensiero sviluppa una tale attrazione che, come i vapori vaganti convergono da tutte le parti in una nube temporalesca, così i pensieri sperduti d’altri torti convergono su quel penseiro centrale, vi si assimilano e lo ingigantiscono. Alla fine, consigliatosi con gli elementi, egli giunge ad una risoluzione. Più deciso di Annibale egli fa un voto, di cui l’odio costituisce un vortice dalla cui attrazione neppure la scaglia d’umanità più lontana può sentirsi ragionevolmente sicura. Quindi annuncia la sua decisione e sistema i suoi affari temporali. Con la solennità d’uno spagnolo fattosi monaco, prende congedo dai suoi; o meglio, questi congedi hanno un che dell’ancor più impressionante irrevocabilità degli addii sul letto di morte. Alla fine parte per la foresta primeva, e lì, finché gli dura la vita, si dedica al suo progetto calmo e claustrale d’una vendetta strategica, implacabile, solitaria. Sempre sulle silenziose tracce; freddo e controllato, paziente; più presentito che visto, fiuta e annusa – una Nemesi alla Leather-Stocking. Nei centri abitati non si fa più vedere: agli occhi dei vecchi compagni spuntano le lacrime se qualcosa lo richiama alla mente, ma non lo cercano né lo chiamano mai; sanno che non viene. Il sole e le stagioni passano veloci, il giglio tigrino fiorisce e cade; nascono i bambini e saltellano in grembo alla madre; ma l’odiatore di indiani è bell’e partito per la lunga dimora, e il suo epitaffio è Terrore!”.

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