
A proposito della schiavitù negli Stati Uniti, le linee guida preparate dal Board of Education dello stato della Florida, e approvate dal governatore Ron DeSantis, dicono che gli studenti dovrebbero imparare che “Gli schiavi [slaves] svilupparono delle abilità che, in alcuni casi, poterono essere usate a loro benificio personale”. (Le linee guida invitano anche a studiare come “il commercio degli schiavi [slaves] si sviluppò nelle terre d’Africa” e come la schiavitù esistesse in tutti i paesi musulmani – ma questa è un’altra storia, una polemica per un’altra volta.)
Insomma, anche la schiavitù ha fatto qualcosa di buono per le sue vittime? Più che l’affermazione in sé, a fare scandalo negli ambienti progressisti è la sua brevità fuori contesto, o meglio nel contesto politico generale di uno stato che, guidato dall’ultra-conservatore DeSantis, si vanta di essere all’avanguardia della lotta contro la cosiddetta egemonia culturale woke nelle strutture educative, in particolare contro la Critical race theory. Dire cose così sembra dunque un tentativo, sospetto di razzismo, di sminuire l’enorme crudeltà storica ed esistenziale del sistema schiavile.
In effetti, la faccenda è un po’ più complicata. Altre istituzioni educative che hanno creato proposte curriculari sullo stesso tema, e che sono più vicine alle comunità nere, hanno fatto affermazioni simili, con più parole e quindi più articolate, e comunque senza il fardello del sospetto razziale o razzista. Per esempio: “Molte persone tenute in schiavitù [enslaved people] contavano su abilità acquisite in Africa, tipo la coltivazione del riso. Oltre al lavoro agricolo, esse [enslaved people] impararono mestieri specializzati e lavorarono come imbianchini, carpentieri, sarti, musicisti e guaritori sia nel Nord che nel Sud. Una volta liberi, gli afro-americani usarono queste abilità per mantenere se stessi e altri”.
Dove sta la differenza, a parte la quantità dei dettagli? Solo nel suggerire che i mestieri, o anche il semplice saper leggere e scrivere, imparati sotto la schiavitù si rivelarono utili e profittevoli una volta conquistata la libertà? E si può intendere la libertà di massa con l’abolizione della schiavitù, ma anche la libertà individuale con l’emancipazione ad personam? C’è qualcosa di più, che ha a che fare con un approccio alla storia sociale della condizione delle persone in schiavitù che rischia di essere macinato nella polarizzazione delle history wars, di evaporare nella contesa ideologica e nel nulla.
Sottolineare come le enslaved persons abbiano acquisito skills e mestieri e arti, al servizio della piantagione o per propria iniziativa, è un modo di mostrarne l’umanità, l’integrità non doma, la capacità di mantenere autonomia e intelligenza, insomma agency nelle peggiori condizioni. Da lì, fra l’altro, nacque la resistenza secolare alla schiavitù ereditaria, evidente in mille storie, da lì è nata la cultura afroamericana prima e dopo l’abolizione. Lo hanno raccontato i migliori storici delle ultime generazioni, e prima di loro i padri della African American history come W.E.B. DuBois e come Carter G. Woodson, fondatore nel 1916 del Journal of Negro History (entrambi harvardiani, fra l’altro).
Non è un modo per confortare la favola di Via col Vento, ammenoché proprio non lo si voglia, se lo si vuole, ma anche no. Il contesto è tutto.
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Post Scriptum del giorno dopo. Il contesto è tutto. Un opinionista del New York Times è andato a vedere l’intera proposta curriculare da cui la frase incriminata è stata tratta, e ha concluso che ne è giusto un dettaglio, che il suo estensore (un docente afroamericano) avrebbe potuto scrivere meglio, ma un dettaglio. Nel complesso il discorso sulla schiavitù rispecchia la migliore storiografia, e non sconta niente.
“Se mi fosse stato mostrato questo curriculum prima dello scandalo”, scrive John McWhorter (afroamericano anche lui), “la mia impressione sarebbe stata che avrebbe offeso i crociati anti-woke della destra, non i critici di sinistra. Offre una copertura così standardizzata di ciò che la schiavitù è stata che è sorprendente che Ron DeSantis abbia voluto metterla in giro sotto il suo nome. Avrei probabilmente interpretato la frase sui “benefici personali” come un accenno all’idea, abbastanza diffusa fra i neri che riflettono sulla nostra storia, che anche gli schiavi [slaves] esercitarono un certo grado di agency e di resistenza umana in mezzo all’orrore delle condizioni loro imposte. E poiché si tratta di giusto una frase, avrei semplicemente tirato avanti, continuato a leggere”.
A contribuire allo scandalo da sinistra è stata Kamala Harris che si è precipitata a dichiarare: “Giusto ieri nello stato della Florida hanno deciso che agli studenti delle medie sarà insegnato che le persone in schiavitù [enslaved people] trassero benefici dalla schiavitù. Ci insultano e tentano di confonderci [gaslight] ma non lo consentiremo”. Giunta in Florida ha aggiunto, rispondendo all’invito di DeSantis a una discussione pubblica sulla faccenda: “Vi dirò che […] non c’è alcun invito che accetteremo a dibattere un fatto innegabile. Non ci furono caratteristiche capaci di redimere la schiavitù”. Probabilmente si sarà limitata a leggere la frase, comunque distorcendone il significato, in un articolo di giornale. O magari nel titolo di un articolo di giornale. O magari nel riassunto o nel titolo di una agenzia di stampa.
Come tanti e tante nella pubblica piazza.
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Ho mantenuto in inglese i termini slaves e enslaved people, forse non a caso usati in maniera distinta nei due testi distinti sopra citati, slaves nel testo, diciamo così, desantisiano, enslaved people nell’altro. C’è differenza e, se sì, quale? Mi sembra di poter riassumere la discussione in proposito così. Slave è un nome che descrive una condizione statica, riduce un individuo al suo status come se fosse essenziale e permanente. L’aggettivo enslaved qualifica il carattere dinamico di una condizione imposta all’individuo contro la sua volontà, suggerisce violenza, arbitrarietà continua. Enslaved people o simili sarebbe dunque la locuzione da preferire nel linguaggio analitico (o meramente woke?), perché più precisa anche se meno economica. Naturalmente, nel linguaggio corrente (o conservatore?) succede spesso che l’economia, la semplicità, anche se un po’ politicamente scorrette, abbiano la meglio. E che molti continuino a dire sia slaves che enslaved persons, insieme, senza pensarci troppo (come fa McWhorter).
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