
Ora ti racconto questa storia, mi ha detto il mio amico Cesare con cui ogni tanto condivido il pranzo al caffé del teatro.
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Una decina di notti fa, nel caldo soffocante che sai, con tutte le finestre aperte, non voglio l’aria condizionata, non riuscivo a prendere sonno per via di questo “bip” regolare, scandito con precisione elettronica, ingigantito dalla camera acustica dei palazzi circostanti. Ci sono sempre allarmi che partono per un nonnulla, automobili toccate per sbaglio, aggeggi difettosi, proprietari che magari son fuori città e chissà quando tornano, e questo ti innervosisce ancora di più, naturalmente.
Quel “bip” ossessivo sarà lì per sempre, fino a settembre, fino a ottobre, ne sei sicuro nel caldo della notte, ti giri nel letto, come fai a dormire.
Invece verso l’alba si è interrotto.
Ma ha ripreso la notte dopo, con gli stessi orari, e la notte dopo ancora. Sarà stata la quinta notte, forse, quando sono sceso in strada deciso a trovare la fonte del fastidio, magari per denunciarlo a chissà chi.
Non ero solo, ho scoperto subito.
Altri sei o sette uomini, sudati e irritati, chi più giovane e chi più anziano, in calzoncini da runner o in mutanda che meglio non guardare, in canottiera, in ciabatte, si aggiravano per il quartiere deserto.
Con i miei stessi sentimenti e le mie stesse intenzioni di vendetta.
Abbiamo cominciato a muoverci quasi come una milizia, cercando di seguire il filo del “bip”, dove ci portava quand’era più forte. Giuro, hai presente quelle milizie di quartiere che si vedono nei tuoi film americani, e che mai portano bene, c’è venuto il desiderio, certo noi non armati ma vogliosi di esserlo sì, cioè, checcapperi, ce lo siamo anche detto, un po’ per scherzo e un po’ no, almeno uno schioppo per annientare il maledetto congegno quando lo troveremo, e magari anche per impallinare la finestra del bastardo che non se ne cura, beato in vacanza, lui, c’è da scommetterci. C’era nell’aria un nuovo senso di comune intrapresa, una improvvisa confidenza fra persone finora sconosciute, magari solo viste da lontano, quasi un barlume di eccitazione e di strana felicità, direi, nel caldo della notte.
Il segnale veniva bello e chiaro dall’edificio delle scuole, lì davanti a noi, circondato da una piccola area alberata e ovviamente protetto da una recinzione.
Domani si provvede, ci siamo detti riponendo per il momento le armi.
L’indomani, le autorità raggiunte al telefono non facevano che sghignazzare. No, noi nelle scuole non ci s’ha apparecchi del genere… No, lì non è possibile, figurati… Lo sappiamo, gli allarmi, succede ogni notte un po’ dappertutto, noi che ci si può fare… Lei deve capire, abbiamo poche volanti… Che sfiga, eh? Come si fa a dormire, con questo caldo, eh (una manifestazione di empatia accolta malissimo).
Poi è accaduto per caso, non a me, mi è stato raccontato la notte dopo, quindi non ti so dire esattamente il come e il quando, ma insomma una delle voci interpellate al telefono in qualche ufficio comunale o giù di lì ha chiesto con il tono di tanto per dire, Ma è sicuro che sia un “bip”, come sembra a voi? Se invece fosse un “chiù”? E venisse non dall’edifico scolastico ma dagli alberi che lo circondano?
Da non crederci.
E’ il richiamo dell’assiolo, un rapace piccolissimo, che così passa le sue notti, e ci sono anche delle storie, raccontate da quel tipo gentile al telefono, sul richiamo del maschio e sul richiamo della femmina, e su come si chiamino a lungo fra loro per poi darsi al sesso, ma chi aveva raccolto l’informazione non ricordava i dettagli più piccanti, andremo a vedere su wikipedia, intanto si stava andando nel pecoreccio.
La notizia che quello è il verso di un uccello, un suono della natura e non di qualche macchinetta impazzita, ha avuto un effetto psicologico curioso, calmante, ha spento irritazioni e malumori. Sai, adesso anch’io lo percepisco come meno fastidioso, non mi innervosisce più, quasi mi aiuta ad addormentarmi. E anche per gli altri sembra che sia così, come fossero più in pace con il mondo. S’è persino deciso di non procedere alla fondazione di una milizia di quartiere, dopo tutto.
***
La storia di Cesare fluiva così bene, con una morale che la chiude e quasi ne fa una parabola di buoni sentimenti, che ho preferito non interromperla con i fatti miei. Solo alla fine gli ho raccontato che, un mese fa, ho cominciato a sentire proprio quel verso dalle parti di casa mia, e che poi quel verso s’è taciuto. Quindi può ben darsi che si tratti del medesimo menestrello che si è trasferito dagli alberi del mio parco a quelli della sua scuola. Fra l’altro, all’inizio anche a me pareva un “bip” elettronico fastidioso, che mi avrebbe tolto il sonno e rovinato per sempre la vita, ma per fortuna una fortunata circostanza mi ha subito illuminato e rasserenato.
E’ infatti successo che una cara amica che ascoltava con me mi abbia detto, fin dalla prima notte, nel caldo della notte, Guarda che è il “chiù” dell’assiolo.

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Molto bello. Grazie
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