
Una visione eroica e romantica degli Indiani americani, i Native Americans, i primi popoli indigeni del continente, è ben presente nella fantasia dell’estrema destra bianca xenofoba, fascista e nazista, sia americana che europea.
Ci sono episodi in cui ciò emerge con evidenza sia pure in maniera aneddotica, come nel racconto che ne fa Kalen Goodluck nell’ articolo Far-right Extremists Appropriate Indigenous Struggles for Violent Ends. I casi più drammatici riguardano i perpetratori di azioni terroristiche in chiave anti-immigrazione (il massacro di una ventina di ispanici a El Paso, nel 2019, il massacro di decine di giovani socialisti nell’isola di Utøya, in Norvegia nel 2011), azioni rivendicate evocando la strenua lotta dei nativi americani contro la loro «grande sostituzione», l’invasione europea che alla fine li distrusse. Fra l’altro, l’idea è riassunta in un meme messo in circolazione dal partito tedesco di estrema destra, Alternative für Deutschland, nel 2014: l’immagine di Toro Seduto e la didascalia «Gli indiani non riuscirono a fermare l’immigrazione. Ora vivono nelle riserve».
Se ricordo bene ce ne fu anche una versione italiana.
Sul caso tedesco c’è tuttavia uno studio sistematico che aiuta a mettere le cose in prospettiva storica. L’autore è Frank Usbeck, curatore di un museo di Dresda e ex professore di American Studies all’università di Lipsia. Il libro si intitola Fellow Tribesmen. The Image of Native Americans, National Identity, and Nazi Ideology in Germany (Berghahn, New York, 2015), e quello che dice, in sintesi, più o meno, a una prima lettura, è questo.
La popolarità dei Native Americans presso il pubblico tedesco, diffusa fin dalla fine del Settecento, era strettamente connessa alla ricerca dell’identità nazionale. Ai nazionalisti pareva che gli indiani americani aprissero una finestra temporale sulle loro presunte radici nelle antiche tribù germaniche. Se una nazione è una entità eterna fondata su relazioni di sangue e con caratteri mentali originari plasmati da un particolare ambiente, allora la nazione tedesca doveva ritrovare quei caratteri, che nel presente sembravano vivere nelle popolazioni indigene del Nord America.
Quali erano questi caratteri comuni? Un rapporto diretto con la natura, con la vita all’aria aperta, nei campi e nei boschi, nelle foreste. Onestà, coraggio, fedeltà alla comunità, onore, auto-controllo, intuizione, emotività, una certa predisposizione alla malinconia. Una cultura di valorosi guerrieri fondata sulla spiritualità e sulla predisposizione a riconoscere la leadership naturale del capo. I tedeschi dovevano vedersi come discendenti di una razza aborigena pura e feroce di questo tipo, come quella che credevano di vedere nel continente nordamericano. Con quelle radici dovevano essere ancora, o tornare a essere, in sintonia.
Con i Native Americans i nazionalisti tedeschi pensavano di condividere un altro tratto: avevano un nemico comune. Nella storia del tempo che fu, potevano immaginare le lotte delle antiche tribù germaniche contro l’impero romano come guerre di frontiera simili a quelle combattute dai nativi contro le potenze coloniali europee nelle Americhe; romantiche guerre per una causa perduta, destinate alla sconfitta data la superiorità tecnologica dell’avversario. Nel presente, soprattutto dopo la Grande guerra e poi sotto il regime nazista, potevano sentirsi vittime espropriate e costrette all’assimilazione da parte di uno stesso potere imperiale, quello anglo-americano.
Nella propaganda nazista, il motivo anti-yankee divenne prevalente. La tradizionale combinazione di fascinazione, disprezzo e invidia nella percenzione tedesca dell’America, dice Frank Usbeck, virò decisamente verso il disprezzo. Disprezzo per una società priva di cultura, poco sofisticata, priva di spiritualità, dedita al gretto perseguimento della ricchezza materiale e a fare terra bruciata di tutto il resto. Un pericolo mortale per i fellow tribesmen indigeni americani e germanici, per i popoli che vogliono condividere le comuni virtù di un tempo. Messe in pericolo, in entrambi i casi, dall’espansione imperialista della decadente America.
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