
Il nome del caso, in forma sintetica, è Students for Fair Admissions, Inc. v. President and Fellows of Harvard College (29 giugno 2023), ma nella sua forma estesa include anche la University of North Carolina. E’ un caso storico senza dubbio, perché affossa le politiche di ammissione accademica basate in parte su preferenze razziali, cioè le politiche di affirmate action che favoriscono candidati appartenenti a gruppi razziali neri e ispanici storicamente svantaggiati dal razzismo sistemico del paese. I ricorrenti, Students for Fair Admissions, sono invece un gruppo di studenti di discendenza asiatica che dicono di essere discriminati alla rovescia, non riescono ad accedere alle migliori università malgrado le altissime qualificazioni perché, a causa della affirmative action, sono loro preferiti altri studenti con minori qualificazioni. Il giudizio di incostituzionalità riguarda le due università in questione, ma è di fatto un giudizio valido per tutte le università (potrebbe anche estendersi alle pratiche di assunzione delle imprese private).
Questo risultato è il prodotto di un lungo lavorìo della giurisprudenza conservatrice iniziato di fatto all’inizio dell’affirmative action stessa, cioè mezzo secolo fa. Un lavorìo che aveva già avuto qualche successo a livello statale e federale, ma che ha infine trionfato in una Corte suprema in cui, grazie alle nomine del presidente Trump, esiste oggi una solida maggioranza conservatrice. La decisione, scritta dal chief justice John Roberts, è stata infatti approvata da sei giudici su nove. Le tre justices progressiste sono confluite, in vario modo, nella dissenting opinion scritta da Sonia Sotomayor (le altre due sono Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson).
Riporto qui gli incipit di due opinioni separate e contrapposte scritte dai due giudici afroamericani della Corte, l’ultra-conservatore Clarence Thomas, nominato da Bush padre nel 1992, e la progressista Ketanji Brown Jackson, nominata da Biden giusto un anno fa, la matricola della compagnia. Quella di Thomas è una concurring opinion, è d’accordo con la maggioranza, spiega perché, e va oltre in territori che gli sono famigliari (questa sentenza è una sua vittoria personale, da molti punti di vista). L’opinione di Jackson è una dissenting opinion, dice tutto il suo dissenso.
Di Thomas riporto anche una pagina molto interessante, con una altrettanto interessante nota a piè di pagina, in cui sembra sostenere che, altro che affirmative action – i neri se la cavano molto meglio in istituzioni separate, non integrate. C’è quasi nostalgia di quelle istituzioni che oggi si chiamano Historically Black Colleges and Universities (HBCU) e che nel vecchio regime erano all-black per legge, proprio segregate. Una visione che riecheggia la tradizione separatista presente da sempre nella comunità afroamericana, con varie incarnazioni, nazionaliste e comuniste negli anni Venti, Black Power negli anni Sessanta, conservatrici e business-oriented tipo Booker T. Washington a inizio Novecento. In un capitolo del libro The Enigma of Clarence Thomas (2019), il political theorist Corey Robin sostiene che questo è davvero il sogno del vecchio giudice.
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JUSTICE THOMAS, concurring
All’indomani della Guerra civile il paese si concentrò sulla ricostruzione dell’Unione e sulla definizione dello status legale degli schiavi appena liberati. La Costituzione fu emendata per abolire la schiavitù e proclamare che tutte le persone nate negli Stati Uniti sono cittadini aventi diritto ai privilegi e alle immunità della cittadinanza e alla eguale protezione della legge. Gli emendamenti Tredici e Quattordici. Grazie a questa seconda rifondazione del paese, “la nostra Costituzione è color-blind [daltonica], non conosce né tollera classi diverse fra i cittadini” [Così scrive il giudice Harlan nella sua dissenting opinion nel caso Plessy v. Ferguson, 1896]
L’impegno della Corte nei confronti di questo principio di eguaglianza ha avuto alterne vicende, nel tempo. Dopo averlo misconosciuto per decenni, offrendo l’imprimatur giuridico alla segregazione e favorendo l’avvento dell’era di Jim Crow, la Corte ha infine corretto il tiro nella sentenza Brown v. Board of Education(1954), annunciando che le scuole primarie devono disegregare con tutta la velocità possibile oppure chiudere. Ha poi fatto un passo indietro nella sentenza Grutter v. Bollinger (2003), quando ha consentito alle università di discriminare sulla base della razza nelle politiche di ammissione (sia pure temporaneamente), al fine di realizzare i presunti “benefici della diversità nell’istruzione”. E tuttavia la Costituzione continua a incarnare una semplice verità: due ingiustizie opposte non fanno una cosa giusta.
Scrissi a suo tempo a proposito della sentenza Grutter, spiegando che l’uso della razza nelle politiche accademiche di ammissione – qualunque sia l’intenzione, di favorire o di escludere – viola il Quattordicesimo emendamento. Nei decenni successivi ho ripetutamente affermato che Grutter era una decisione sbagliata e avrebbe dovuto essere rigettata. Oggi, e malgrado un lungo interregno, la Costituzione ha finalmente la meglio.
Poiché la Corte oggi applica uno scrutinio genuinamente rigoroso [strict] alle politiche accademiche razzialmente fondate di Harvard e della University of North Carolina, e conclude che non reggono il controllo di costituzionalità, sottoscrivo pienamente l’opinione di maggioranza. Scrivo una opinione separata per offrire una difesa originalista della Costituzione in quanto color-blind; per spiegare ulteriormente le carenze nella giurisprudenza della Corte a proposito della sentenza Grutter; per chiarire che tutte le forme di discriminazione basate sulla razza – inclusa la cosiddetta affirmative action – sono proibite dalla Costituzione; e per sottolineare gli effetti perniciosi di tali discriminazioni.
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JUSTICE JACKSON, with whom JUSTICE SOTOMAYOR and JUSTICE KAGAN join, dissenting.
Fra i cittadini americani esistono differenze enormi in salute, ricchezza e benessere basate sulla razza. Queste differenze sono state create nel lontano passato, ma senza ombra di dubbio sono state tramandate attraverso le generazioni fino a oggi. Ogni momento in cui queste differenze continuano a esistere è un momento in cui questo grande paese non è all’altezza dei suoi principi fondanti – la verità “auto-evidente” che tutti siamo creati uguali. E tuttavia, oggi, la Corte decide che i programmi olistici di ammissione come quelli usati dalla University of North Carolina, in coerenza con [la precedente sentenza] Grutter v. Bollinger (2003), sono un problema nella realizzazione di quella aspirazione, e non una soluzione praticabile (come è da tempo evidente a storici, sociologi e policymakers).
La giudice Sonia Sotomayor ha persuasivamente dimostrato che niente nella Costituzione […] proibisce alle istituzioni di prendere in considerazione la razza nell’assicurare la diversità razziale nelle ammissioni all’istruzione superiore. Sottoscrivo la sua opinione senza riserve. Scrivo una opinione separata per sottolineare i benefici universali che derivano dal considerare la razza in questo contesto, in risposta alle implicazioni che permeano questa azione legale fin dall’inizio. [I ricorrenti] hanno sostenuto sia apertamente che implicitamente che è ingiusto, nel processo di ammissione a un college, considerare la razza come un fattore nel valutare complessivamente i candidati.
Questa affermazione fa a pugni con la storia e con la realtà in modi troppo numerosi per contarli tutti. Ma la risposta è semplice: il nostro paese non è mai stato color-blind. Data la lunga storia di preferenze razziste sponsorizzate dallo stato, dire che chiunque sia oggi vittimizzato quando un college prende in considerazione se quella eredità di discriminazioni abbia ingiustamente avvantaggiato certi candidati, significa ignorare la ben documentata trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza che ancora affligge la nostra popolazione.
E’ quella diseguaglianza che i programmi di ammissione come quello della University of North Carolina cercano di superare, per il bene di tutti. Poiché il giudizio della maggioranza [di questa Corte] blocca quel progresso senza alcun fondamento in diritto, storia, logica o giustizia, esprimo il mio dissenso , I dissent.
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JUSTICE THOMAS, concurring
I sistemi meritocratici hanno sempre confutato i pregiudizi faziosi su ciò che gli studenti neri possono ottenere. Ho sempre pensato che lo scopo dell’istruzione superiore sia impartire agli studenti conoscenze e skills, piuttosto che credenziali comunitarie convenzionali. Continuo a credere fermamente (e mai ne ho dubitato) che i neri possono avere successo in tutte le aree della vita americana senza i maneggi degli amministratori accademici. I sistemi meritocratici, con i loro metodi obiettivi di valutazione, sono fondamentali. I metodi obiettivi di valutazione sono sempre stati un great equalizer – offrendo una misura del successo accademico che i pregiudizi non possono alterare. Le preferenze razziali eliminano questo beneficio, eliminano i criteri obiettivi in base ai quali coloro che hanno qualcosa da provare possono chiaramente provarlo – sia a se stessi che agli altri.
Anche i successi delle scuole, così come le valutazioni degli studenti, forniscono una prova oggettiva di capacità. Gli Historically Black Colleges and Universities (HBCU) non hanno molta diversità razziale , ma dimostrano una grande capacità di migliorare la vita dei loro studenti. Fino ad oggi, si sono mostrati estremamente efficienti nell’istruire gli studenti neri, soprattutto nelle discipline STEM, dove gli HBCU rappresentano sette delle otto migliori istituzioni nel laureare studenti neri che poi vanno avanti a prendere dottorati in scienze e ingegneria. Ed essi forniscono l’80% dei giudici neri, il 50% dei medici neri, il 50% degli avvocati neri. In effetti Xavier University, una HBCU con solo una piccola percenuale di studenti bianchi, ha avuto più successo nell’aiutare i suoi studenti a basso reddito a entrare nel ceto medio di quanto abbia fatto Harvard. E ciascuno dei 10 migliori HBCU ha quozienti di successo al di sopra della media nazionale.
Perché, quindi, la Corte dovrebbe consentire ad altre università di discriminare razzialmente? Non per migliorare le condizioni di questi studenti neri, sembrerebbe. Il duro impegno delle HBCU e dei loro studenti dimostra che le scuole nere possono funzionare come centro e simbolo delle comunità nere, e fornire esempi di leadership nera indipendente, di successi e risultati indipendenti. E poiché le politiche di ammissione al college basate sulla razza non sono necessarie neanche per servire gli interessi degli studenti neri, non c’è alcuna giustificazione nell’imporre più ampiamente programmi del genere.
Nota 12 a piè di pagina. I buoni risultati dei neri in ambienti “razzialmente isolati” non sono né una novità né qualcosa di limitato all’istruzione superiore. Come ho già avuto modo di osservare, negli anni che precedetto la sentenza Brown, l’esempio più eminente di una scuola esemplare nera era Dunbar High School, la prima scuola media superiore pubblica d’America per studenti neri. Conosciuta per la sua eccellenza accademica, la scuola attraeva studenti neri da tutta l’area intorno a Washington, D.C. Nel periodo 1918-1923, i diplomati di Dunbar presero 15 lauree nelle università della Ivy League e dieci lauree a Amherst, Williams e Wesleyan. Dunbar produsse il primo generale nero dell’esercito degli Stati Uniti, il primo giudice federale nero, il primo membro nero di un gabinetto presidenziale. In effetti, furono i tentativi di integrare razzialmente la scuola che alla fine ne fecero precipitare il declino. Quando le scuole del Distretto di Columbia dovettero adeguarsi al nuovo modello basato sul reclutamento in loco, nel quartiere, Dunbar non poté mantenere le precedenti politiche di ammissione – e 80 anni di istruzione di qualità giunsero a una fine improvvisa.
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