

Iconoclasti? Davvero sono iconoclasti quei militanti (che in quanto militanti sono una esigua minoranza) che attaccano certi monumenti, magari li vandalizzano, talvolta li abbattono, più spesso ne chiedono e ottengono la rimozione da parte delle autorità? Davvero sono simpatizzanti iconoclasti quei cittadini (che sono un po’ più numerosi dei militanti) che guardano con qualche simpatia e comprensione?
In realtà sembra proprio di no. Qualunque definizione di iconoclastia rinvia all’avversione al culto delle immagini in quanto tale, considerato di per sé una forma di idolatria. Nei casi contemporanei, almeno per quel che vedo negli Stati Uniti, non c’è nulla di questo. C’è piuttosto l’avversione al culto di quelle immagini lì, di quelle icone specifiche lì, considerate oltraggiose. Altre immagini, altre icone sono le benvenute, addirittura desiderate, volute. Nuovi monumenti sono eretti di continuo, un profluvio di monumenti, dedicati a persone, cause, eventi prodigiosi che rispecchiano altre prospettive sul mondo e sulla storia.
A Christopher Park, per esempio, un triangolo verde di pochi metri quadrati nel cuore del West Village a Manhattan, di fronte allo storico bar gay Stonewall Inn, al centro dello Stonewall National Monument così designato dal presidente Obama per ricordare il moderno movimento omosessuale nato da quelle parti, c’è una stratificazione di monumenti che potrebbe sembrare sorprendente a chi veda stonebreakers dappertutto. Tanto per cominciare, dal 1926 c’è una statua in bronzo di Philip Sheridan, generale della cavalleria unionista (qui a piedi). Non è un odiato sudista, dunque, ma certo non è mondo di peccati, essendo stato un Indian fighter a cui viene attribuita la paternità del detto “l’unico indiano buono è l’indiano morto” (lui sempre negò).
Dal 1992 si è poi aggiunto il Gay Liberation Monument dell’artista pop George Segal; un monumento ritenuto da alcuni un po’ troppo conservatore nel rappresentare le coppie gay e lesbiche come tranquille coppie middle class, un po’ troppo bianche. Proprio in polemica con questa immagine c’è, o almeno c’è stata per qualche tempo nel 2021, una ulteriore aggiunta: un busto di Marsha P. Johnson, una drag queen di colore che era stata fra le leader iniziatrici, e misconosciute, e tutt’altro che tranquillamente middle-class white, del movimento LGBTQ in città nonché degli Stonewall riots del 1969.
Bene, alla scultrice del busto, Jesse Pallotta, un’artista della generazione dei cosiddetti iconoclasti, è stata posta la domanda fatale: ma come, negli ultimi anni ci sono state tante controversie sulle statue che vengono giù – voi invece ne avete creata una? Come e perché l’avete installata lì dov’è? In un paio di occasioni Pallotta ha risposto così, con una buona dose di populismo comunitario ma, mi sembra, senza neanche un filo di iconoclastia. Le icone, le immagini negli spazi pubblici sono importanti anche per lei e i suoi compagni d’avventura. Si tratta di vedere quali.
In un tempo in cui abbattiamo certe statue, penso che sia altrettanto importante considerare collettivamente che cosa mettiamo negli spazi pubblici, qual è il processo usato per erigere statue, come reimmaginare la funzione dei monumenti. […] Queste cose mi hanno dato un sacco da pensare. Questioni tipo, come i monumenti impattano l’atmosfera affettiva di uno spazio pubblico? Qual è il modo migliore di disegnare monumenti che possano far vivere lo spazio, giorno dopo giorno, in modo da rispettare i valori culturali del momento storico? Come raccontiamo la storia in un modo che lasci spazio per nuove informazioni in futuro? Domande così hanno agito nel mio processo creativo.
Le comunità locali hanno il potere di immaginare gli spazi pubblici che vogliono, sono loro che possono creare i più adatti ai loro bisogni. Nella creazione di qualcosa di nuovo, può essere naturale che le strutture esistenti debbano essere abbattute perché sono diventate disponibili opzioni migliori. Un sacco di monumenti prodotti dal governo sono in genere manufatti industriali di grandi ditte che trattano grandi quantità di sculture. Quando i produttori sono lontani dalla storia della comunità, non penso che siamo in grado di catturare lo spirito del momento storico o della figura storica. E’ essenziale che gli spazi pubblici siano il risultato della collaborazione con la comunità locale.
In effetti, abbiamo installato la statua senza averne ottenuto il permesso! Nel 2019 il Comune di New York aveva annunciato che avrebbe eretto monumenti a Marsha Johnson e alla sua migliore amica Sylvia Rivera [Dal 2019 c’è un Parco Sylvia Rivera a Livorno, NdR]. Ma il progetto è stato rallentato e infine cancellato “a causa del COVID”. La nostra intenzione iniziale era di provocare il Comune per la sua incapacità di portare a compimento i progetti. Ma a una settimana dall’installazione ci siamo resi conto che l’avremmo fatta su una proprietà federale, il che significava che il Comune non aveva alcun controllo sull’area. Ciò è stato piuttosto divertente, ha causato un sacco di casino a livello locale e nazionale. Neanche i giornalisti che coprivano la storia sapevano a chi rivolgersi per chiedere dei commenti.
[E così con un gruppo di attivisti queer di varie organizzazioni della comunità abbiamo organizzato l’impresa, volevamo che Marsha fosse proprio davanti al Gay Liberation Monument e alla statua del Generale Sheridan.] Ci siamo svegliate alle cinque del mattino e abbiamo caricato la statua su un furgone. Quando alle sette hanno aperto i cancelli del parco, siamo entrati con tutto il materiale, abbiamo montato la struttura e l’abbiamo ancorata con una settantina di chili di cemento a pronta presa. Per l’installallazione ci sono voluti 10 minuti, il cemento si è solidificato in 30 minuti. L’intera faccenda è stata piuttosto efficiente. [Naturalmente] questo lavoro è stato site specific. [E tuttavia] mi piacerebbe creare, o che qualcun altro creasse, un manuale per aiutare chi voglia installare sculture-guerriglia di questo tipo a sentirsi più sicuro di sé.
Testi tratti da Jen Carlson, Activists Install Marsha P. Johnson Monument in Christopher Park, in «Gothamist», 25 agosto 2021; “We Did Not Get Permission”: A Discussion With Jesse Pallotta, in «Hard Crackers», 26 settembre 2021.

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