I Puritani americani, quelli veri, quelli del Seicento, non quelli di oggi che non esistono, sono solo una scolorita e superficiale metafora di chi ripete stereotipi, in un paese che nel suo complesso non ha mai avuto nulla di puritano, e che anche là dove lo fu non lo è più da secoli, da prima della rivoluzione, e che sta diventando sempre più cattolico semmai – ecco, i Puritani del Seicento che cercarono disperatamente (e alla fine, e anche all’inizio, con scarso successo) di impiantare se stessi e i loro costumi nel Nord America coloniale, nella colonia di Massachusetts Bay, ce l’avevano su con il Natale. Come in tutto ciò che succedeva in Nord America, non c’era nulla di americano in questo, si trattava piuttosto del trapianto (con minor successo) di esperienze inglesi, di quando, durante la Guerra civile, il Parlamento che avrebbe tagliato la testa al Re, prima di farlo, abolì per qualche anno le festività natalizie.
Le motivazioni teologiche dei Puritani erano le stesse su entrambe le sponde dell’Atlantico. Nella loro letterale interpretazione della Bibbia, non ci trovavano niente che giustificasse una festa della natività, in effetti non ci trovavano neanche niente che indicasse il giorno della nascita di Gesù, neanche la stagione all’incirca, per dire. D’altra parte conoscevano bene le origini pre-cristiane delle celebrazioni di dicembre, del solstizio d’inverno, della fine della stagione del raccolto, del (breve) momento del riposo e dell’abbondanza: le celebrazioni germaniche così come i Saturnalia romani, con le bisboccie e gli eccessi carnivori e carnali che si riproponevano nei costumi a loro contemporanei. Il Natale era dunque una costumanza pagana di cui si era appropriata, con la nota astuta doppiezza, la corrotta chiesa cattolica, era quindi peggio che pagana, era roba papista, roba di Satana.
Possiamo dire che, persino per dei fondamentalisti religiosi come i Puritani, le motivazioni politico-sociali fossero più pressanti di quelle teologiche? Credo che si possa dirlo. La notte del Natale, così come si era vissuta allora, era tutt’altro che una stille nacht, tanto meno una heilige nacht. Era piuttosto un’occasione per bere, giocare d’azzardo, far cose licenziose (“chambering” cioè scopare in giro) e sfidare le autorità.Racconta lo storico che gruppi di giovani popolani, spesso in crossdressing, scambiandosi i vestiti fra uomini e donne, comportandosi gli uomini da donne e le donne da uomini, andavano alle case dei ricchi a cantar carole e a chiedere doni e cibo e alcol (di quello buono, non i soliti avanzi), e magari pretendevano pure di entrare, e se non soddisfatti vandalizzavano un po’ la sala da pranzo. Insomma un carnevale, un halloween, un charivari, una caciara. Cioè, si sa, i modi scomposti che ha la gente di umili origini di divertirsi e di dare ritualmente fastidio (per qualche ora) ai signori.
Per giunta, il giorno dopo, tutti a battere la fiacca, nessuno a lavorare. Ciò doveva finire. Nel 1644 il Parlamento di Londra decretò che Natale sarebbe stato un giorno di “digiuno e umiliazione” in cui render conto dei propri peccati per aver concesso troppo alle “delizie carnali e sensuali”. Il decreto fu abolito in Inghilterra nel 1660, con la fine del regime rivoluzionario e la restaurazione della monarchia, sempre godereccia. I Puritani americani fecero staffetta; nel 1659 un ordine della General Court della colonia del Massachusetts mise fuorilegge ogni pubblica celebrazione natalizia. Vi si diceva che chiunque fosse stato trovato a osservare la giornata di Natale astenendosi dal lavoro, banchettando, vestendosi a festa, scambiandosi regali e auguri, sarebbe stato punito con una multa di 5 scellini. Di un “sacrilegio” si trattava. Di “pratiche sataniche”, appunto.
Tutto ciò durò una generazione. Una vita d’inferno per i poveri coloni, costretti alla tristezza nel pieno del già triste inverno nordatlantico? Non esageriamo. Il bello delle pretese biopolitiche, dei desideri d’élite di disciplinare i corpi dei subalterni, è che esse restano spesso nel regno dei desideri, dei pii desideri. Appena si passa dalla storia intellettuale alla storia sociale, be’, niente funziona come dovrebbe funzionare secondo l’ordine del discorso. Racconta lo storico, che un po’ di storia sociale from the bottom up l’ha fatta, che i festeggiamenti continuarono in forma privata, più o meno, l’importante era non fare troppo chiasso nelle strade. Non ci sono tracce di interventi di polizia, né c’era davvero una polizia segreta che tenesse d’occhio le vite degli altri. Infine bastava allontanarsi un po’ dal centro città perché i saturnalia si svolgessero liberi e felici, nei vicini villaggi dei pescatori ben noti per blasfemia, abusi alcolici e costumi sessuali dissoluti. Bastava una gita fuori porta.
Dopo il 1680 la corona inglese impose la fine anche delle proibizioni formali. A volerle rispettare rimasero solo gruppi di agitatori che, per esempio, nel 1686 costrinsero il nuovo governatore reale a osservare i riti religiosi natalizi protetto dalla truppa, dalle Giubbe rosse. E rimase l’abitudine di tenere aperti i negozi, gli uffici e anche le scuole il 25 dicembre, fin dentro l’Ottocento. Solo nel 1856 il Natale divenne una public holiday statale in Massachusetts, ma non era una cosa così strana o tarda o fuori norma. Anche il Compleanno di Washington lo divenne, nello stesso anno. E’ che si stavano mettendo a posto i calendari per la modernità.
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Questo post è praticamente copiato da Christopher Klein, When Massachusetts Banned Christmas, che ho trovato qui, con l’aiuto del lavoro dello storico Stephen Nissenbaum, The Battle for Christmas: A Social and Cultural History of Our Most Cherished Holiday (Vintage Books, 1997), il cui capitolo 1, quello rilevante, si può leggere qui.
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