Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Classroom: Come si prepara una tesi triennale

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COME  SI  PREPARA  UNA  TESI  TRIENNALE
( Arnaldo Testi, Università di Pisa )

Cioè la prova finale nel Corso di laurea triennale in Storia per l’insegnamento di Storia degli Stati Uniti 

Scopi e dimensioni

L’obiettivo della tesi è quello di approfondire uno degli argomenti del corso di Storia degli Stati Uniti, utilizzando la letteratura principale relativa all’argomento trattato e maturando una conseguente consapevolezza storiografica della tematica presa in esame e del dibattito su di essa. Una parte del lavoro può, in alcuni casi, essere svolta su fonti primarie, siano esse edite o d’archivio.

Il materiale di riferimento bibliografico su cui dovete lavorare consiste in una decina di libri e in altrettanti articoli su riviste scientifiche. Sia i libri che le riviste sono in genere disponibili in versione cartacea nelle biblioteche d’Ateneo. Alcuni libri possono essere reperiti altrove tramite il prestito inter-bibliotecario. Parecchie riviste sono consultabili via Internet in formato full text, partendo da un computer interno al sistema bibliotecario universitario.

Il materiale di riferimento è di norma in inglese. E’ quindi opportuno che abbiate una decente conoscenza dell’inglese scritto, per evitare di dover usare troppo spesso il dizionario. Altrimenti c’è il rischio che il vostro lavoro duri il triplo del necessario.

L’elaborato finale, secondo il regolamento del corso di laurea, ha le dimensioni di “un testo breve”, “dalle 30 alle 50 cartelle di circa 2800 battute”.[1] Ciò significa che il lavoro complessivo è compreso fra gli 84.000 e i 140.000 caratteri, spazi inclusi. Potete facilmente verificare queste dimensioni con gli strumenti di conteggio dei caratteri del vostro computer.

Forma e stile

Preferisco una cartella o pagina meno fitta, che abbia margini superiori, inferiori e laterali più ampi. La pagina deve essere di circa 2000 battute o caratteri ciascuna, spazi inclusi. Il numero finale di pagine risulta dunque superiore, diciamo fra 40 a 70. Ma le dimensioni reali dell’elaborato restano ovviamente le stesse. Non dovete faticare di più. [2]

Usate un carattere di stampa basico, per esempio Times, Helvetica, Geneva, New York, a dimensione 10 o 12. Evitate caratteri troppo piccoli o troppo grandi. Evitate di usare caratteri fantasiosi o bizzarri solo perché sembrano cool. Questo è un compito di storia, non di graphic design.

Ogni volta che decidete di andare a capo, fate un rientro di almeno un centimetro, così lo stacco è più evidente. Ricordate che andare a capo ha un significato. Serve per dare un ritmo al discorso, a chiuderne una parte e aprirne un’altra. Quindi non andate a capo troppo spesso: è poco professionale, date l’impressione di parlare per slogan. Ma evitate anche di non andare mai a capo: prendete fiato ogni tanto, ogni mezza pagina, al massimo ogni pagina.

Nel testo che state leggendo ora, vado a capo spesso e fra un capoverso e l’altro lascio una riga in bianco. Ciò accade perché questo è un (piccolo) manuale, quindi procede per punti, è schematico. Inoltre deve essere adatto alla lettura sullo schermo di un computer. Il vostro testo deve invece essere disteso e ragionato, non schematico. Quindi non lasciate righe in bianco.

Mettete in corsivo le parole straniere non proprio usuali (come in questo documento, qui sopra, cool e graphic design). Non hanno bisogno del corsivo le parole entrate nell’uso comune come weekend e film. Usate le virgolette solo per le citazioni di parole altrui. Le citazioni fra virgolette vanno in carattere tondo, cioè normale, non in corsivo.

Le citazioni fra virgolette vanno sempre, rigorosamente, nella lingua originale in cui le trovate, in genere l’inglese. Non tentate traduzioni in italiano, non provateci neanche.

Numerate sempre le pagine, anche quando mi portate un primo assaggio provvisorio del lavoro. In questo caso ricordate di mettere sempre, in alto a sinistra della prima pagina, il vostro nome e cognome (siete tanti, fatevi riconoscere, abbiate un po’ di orgoglio autoriale), il titolo (provvisorio) della tesi, e l’indirizzo email. Nel prodotto finale, naturalmente, nome e cognome e altri dati vanno messi nel frontespizio secondo le norme prescritte.

Anche le prime stesure provvisorie dell’elaborato devono essere scritte con cura, secondo le norme qui suggerite, in italiano corretto, con la punteggiatura al posto giusto. Ciò serve per rendere più scorrevole, cioè meno irritante e più benevola, la mia lettura. I commenti che vi aspettate da me riguardano i contenuti, non la forma, tanto meno l’ortografia e la sintassi: questo è affare vostro.

Tutte le stesure dello scritto, comprese le primissime incomplete, devono essere stampate sempre su una sola facciata del foglio. La seconda facciata va lasciata bianca per le mie pensose osservazioni. Anche se siete convinti di aver prodotto un lavoro perfetto. Ciò vale tanto più per la versione finale rilegata, quella pronta per la commissione di laurea.

Da un po’ di tempo si è diffusa l’abitudine di aprire le tesi con ringraziamenti lunghi ed elaborati, ai famigliari, agli amici e compagni di stanza, ai fidanzati e alle fidanzate, ai bibliotecari e ai docenti. Se proprio sentite l’urgenza di farlo, siate un po’ più discreti, metteteli in carattere minore, magari alla fine dell’elaborato. E non ringraziate il vostro relatore, che fa il suo lavoro.

Composizione

La tesi si struttura normalmente in tre parti principali: introduzione, descrizione e analisi, e conclusione.

Nell’introduzione presentate il piano dell’opera: l’argomento trattato, l’arco cronologico preso in esame, gli strumenti e le fonti che avete utilizzato, le ragioni per cui avete scelto quell’ argomento, il modo in cui intendete svilupparlo. Indicate subito lo scopo problematico del vostro lavoro ovvero la tesi che intendete sostenere. Insomma, dite subito la cosa importante che avete da dire, in maniera diretta e sintetica. L’introduzione è piuttosto breve.

La seconda parte, di descrizione e analisi, è invece lunga. Occupa più pagine, è quantitativamente preponderante nell’economia complessiva del lavoro. Qui illustrate tutti gli aspetti dell’argomento preso in esame, passo dopo passo, seguendo un filo logico e consequenziale, evitando salti tematici e cronologici. Qui dovete dimostrare di avere chiari gli aspetti fattuali del tema prescelto, e le principali problematiche storiche a esso connesse.

Sulla base degli elementi illustrati nella seconda parte, formulate la conclusione, la terza parte. La conclusione è la coerente conseguenza dei fatti e dei ragionamenti discussi in precedenza. Potete usarla, per esempio, per esplicitare con chiarezza e sistematicità le considerazioni che avete sviluppato nella parte di descrizione e analisi del tema in oggetto. Come l’introduzione, la conclusione è piuttosto breve.

Introduzione e conclusione devono essere chiaramente distinte e indicate. Il corpo principale dell’elaborato, cioè la seconda parte, deve essere anch’esso diviso in capitoletti distinti, numerati e titolati. Riportate il tutto in un indice dei contenuti all’inizio dell’elaborato, come si fa nei libri. Così offrite al lettore, e in primo luogo a me che sono il vostro lettore più affezionato, una chiara mappa del vostro lavoro.

E’ utile preparare un indice provvisorio fin dall’inizio della ricerca, man mano che vi vengono in mente delle idee, man mano che la mappa complessiva del lavoro prende forma. Ricordate di portarne sempre una copia aggiornata, quando venite a parlare con me.

L’indice iniziale non è mai l’indice finale: è una delle cose che si imparano facendo una tesi. E l’introduzione si scrive alla fine, anche se ciò è contro-intuitivo.

Analisi critiche, non opinioni

Nella conclusione, talvolta nel corpo del testo, vi capita di esprimere opinioni usando espressioni come “secondo me”, “a mio parere”. Ciò è poco professionale. Ditemi piuttosto che cosa dicono le fonti, gli storici che discutete. Fatelo con atteggiamento critico, cioè mantenendo le distanze. Sottolineate i loro contrasti e le loro contraddizioni. Fate emergere i diversi punti di vista. Insomma, datemi valutazioni ragionate. Datemi analisi critiche – non opinioni.

Mantenere le distanze è una delle cose più importanti che si imparano facendo questo lavoro. Fate in modo di distinguere nettamente le voci che ricorrono nel vostro testo: la voce dei protagonisti (quello che dicevano Abraham Lincoln o Frederick Douglass); la voce degli storici, cioè degli interpreti autorevoli (“Secondo Eric Foner…”); e la voce del narratore, cioè la vostra. Devo capire subito a chi attribuire ciò che scrivete: se a Lincoln o Douglass, a uno storico (e a quale storico), o a voi.

Altrettanto importante è imparare a maneggiare i testi con un sistematico scetticismo. Gli autori dei testi, siano essi fonti primarie o lavori storiografici, vogliono convincervi di una loro verità, della fondatezza di una loro interpretazione. Vogliono vendervi la loro merce, e usano a questo scopo anche la retorica della persuasione. Non fatevi persuadere facilmente, siate esigenti, persino ostili nella lettura – soprattutto con chi sembra confermare i vostri pre-giudizi. D’accordo, non è facile: vi sentite in balìa della loro autorità su argomenti che conoscete poco. Ma provateci.

Anche se state facendo la tesi triennale in Storia degli Stati Uniti, della storia del paese, in effetti, sapete poco. Spesso avete fatto solo 12 crediti. Quindi non avventuratevi in generalizzazioni (peraltro inutili) tipo “fin dalle origini degli Stati Uniti…” oppure “per la prima volta nella loro storia…”. Non avete la minima idea se sia davvero così; quindi è meglio evitare. Se si tratta di un fatto specifico e cruciale per la vostra esposizione (“Il primo giudice afroamericano della Corte suprema…”), controllate bene e appoggiatevi a una fonte sicura, con una nota a pié di pagina.

Dire che qualcosa sia “tipicamente americano” dovrebbe essere tabù nella vostra prosa. Si tratta proprio del genere di cliché che lo studio della storia dovrebbe smontare, decostruire. Per favore, fatemi capire che l’avete capito. E magari smetteremo di dirlo anche nelle conversazioni in corridoio, o al bar, a proposito di ciò che sarebbe “tipicamente italiano”.

Voi, il narratore, non siete parte in causa nelle questioni che discutete. Siete degli osservatori estranei e come tale dovete esprimervi. Come ha detto qualcuno: il passato è un paese straniero, lì fanno le cose in maniera diversa. Siate dunque curiosi (e appassionati) ma non trasformate la storia in un morality play su chi abbia ragione e chi torto – “secondo voi”. Non perdete tempo a deprecare gli orrori della schiavitù, non vi salverà l’anima; ditemi piuttosto come funzionava.

Quindi evitate di usare “purtroppo” o (capita meno frequentemente) “per fortuna”, come in “purtroppo furono sconfitti” o “per fortuna scamparono al massacro”. La vostra partecipazione emotiva, la vostra compassione, è del tutto ininfluente.

E per finire: non usate mai i punti esclamativi. E dico mai! 

I testo completo di questo “manualetto”, con ulteriori suggerimenti sulla bibliografia e le note a pié di pagina, si trova in formato pdf qui.

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