Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Una storia da veri uomini (1990)

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Una storia da veri uomini

Perché gli storici (maschi) non usano il genere per leggereil passato

Si è affermata, con il femminismo, la storia delle donne e con essa l’importanza del genere nella storiografia. Ma perché gli storici uomini (italiani) non fanno storia degli uomini?

di Arnaldo Testi  (Il Manifesto, sabato 16 giugno 1990)

Perchè gli storici italiani uomini non si occupano di storia degli uomini? Perché è Memoria (rivista di storia delle donne) ad avviare, nel suo ultimo numero intitolato appunto Uomini, una ricerca in questa direzione? Come ricordano le curatrici del fascicolo, il diffondersi di ciò che per analogia con gli women’s studies si definisce ormai men’s studies sta diventando, nei paesi anglosassoni, un fenomeno visibile; ed è dominato dagli uomini. In Italia, invece, il silenzio sul tema della mascolinità è imperante. Proprio Il silenzio del maschio era il titolo dell’unica, isolata apertura sulla questione proposta tre anni fa da Maurizio Vaudagna su L’indice dell’aprile 1987. Ci sono alcuni segnali di lavori in corso (un seminario di qualche settimana fa all’Istituto Gramsci di Firenze, una discussione avviata nella redazione di Quaderni storici, un numero monografico di Movimento operaio e socialista in preparazione), ma l’interrogativo rimane.

Credo che le ragioni siano in sostanza due. La prima ragione è di natura sociale e politica. In altri paesi (sicuramente negli Stati Uniti), lo sviluppo di questo tipo di studi, e quindi anche della men’s history, è stato il prodotto di significativi movimenti di uomini che hanno messo in discussione in prima persona, con approfondite autoanalisi e serie riflessioni intellettuali, i ruoli e le relazioni sessuali socialmente accettati. I partecipanti a questi movimenti (gay liberation, men’s liberation) hanno cercato nel passato variazioni e pluralità negli stereotipi sessuali, hanno scoperto che non esiste un modello astorico di uomo ma una gamma di possibilità. Hanno insomma fatto nuove domande al loro passato, così individuando nuove potenziali aree di ricerca storica. Come nel caso della storia delle donne (dopo, a causa del movimento delle donne), c’è stato all’origine un atto di autocoscienza, una riflessione critica sulla propria identità.

In Italia, simili spinte soggettive sono mancate, e con esse è mancata una sensibilità «militante» degli uomini (sia pure di una minoranza fra coloro che fanno lavoro intellettuale) all’indagine su se stessi in quando individui sessuati plasmati dalla società e dalla storia. Non sorprende quindi che siano della donne a porsi per prime il problema di «decostruire» storicamente il genere maschile, di studiare i percorsi storici di costruzione della mascolinità. Esse sono le uniche, d’altra parte, ad avere gli strumenti concettuali per farlo. Come emerge chiaramente dai contributi al fascicolo di Memoria, è dalla pratica della storia dlle donne che si è sviluppato «un nuovo interesse per l’esperienza storica degli uomini in quanto uomini e per il genere in quanto concetto storico». Nel momento in cui la nuova storia ha sottolineato la componente non naturale, ma sociale e relazionale, dell’identità femminile, ha di fatto posto il problema storico del genere, e quindi dei generi.

E’ esattamente a questo crocevia che, negli Stati Uniti, la men’s history ha preso forma: là dove domande inquiete di uomini (di alcuni storici uomini) hanno incontrato alcune risposte possibili nella categoria di gender elaborata dalla women’s history. Ecco allora la seconda ragione del «silenzio degli storici uomini» in Italia. Almeno fino a oggi, mi pare, essi hanno (noi abbiamo) ignorato le suggestioni provenienti dalla storia delle donne, e, con esse, la tematica del genere. L’atteggiamento dominante è di insensibilità e disinteresse nei confronti di un settore della disciplina che pure è in pieno sviluppo, ricco di risultati corposi e sofisticati. Statuti consolidati, identità rimosse, conservatorismi (maschili) consapevoli e inconsapevoli, sono responsabili di questa situazione. E interessi accademici organizzati: insegnamenti non attivati, carriere bloccate, concorsi gestiti con logiche clientelari e patriarcali. L’emarginazione istituzionale ha generato mancanza di credibilità scientifica e di appeal intellettuale, quando non ironie di corridoio e battute da caserma.

Perdiamo qualcosa, con tutto ciò, in quanto operatori culturali,storici, e uomini? Credo di sì. Perdiamo sicuramente un’occasione di riflettere sull’importanza dell’identità sessuale nel nostro modo sia di essere individui e cittadini che di fare lavoro intellettuale, e quindi di scrivere, studiare, insegnare, ma anche di organizzare, gestire, decidere. Perdiamo un’occasione per riflette, in maniera più specifica, sull’importanza che l’identità sessuale ha nell’esercizio del mestiere dello storico: stabilire rapporti con il passato, individuarne soggetti e tematiche, dettare priorità, periodizzazioni, inclusioni ed esclusioni. 

In quanto storici, ci sfugge inoltre la possibilità di indagare nuovi territori. Basta pensare ad alcuni degli interrogativi a cui cercano di rispondere (parzialmente, in aree diverse) le collaboratrici di Memoria: Renata Ago, Rita Caccamo, Merry Wiesner, Gabriella Ripa di Meana, Marinella Fiume. Fino a che punto e sotto quali aspetti gli uomini sono diversi dalle donne? Attraverso quali meccanismi e in risposta a quali bisogni si costruisce il genere maschile? Come avviene, storicamente, la identificazione della natura umana con le qualità proprie degli uomini? Quanto sono diverse le concezioni della mascolinità in gruppi sociali diversi nel tempo, nello spazio, nella collocazione nella scala sociale? In che misura le diverse concezioni della mascolinità rappresentano rapporti di potere non solo fra uomini e donne, ma anche fra gruppi diversi di uomini? 

Le articolazioni del potere, quindi: fra uomo e donna, ma anche fra uomini (e fra donne, per altri versi), secondo diversi codici di identità sessuale. E qui il discorso si allarga. Non prendendo sul serio la storia degli uomini, e quindi la storia delle donne, e quindi la categoria di genere e i modi in cui essa interseca altre categorie analitiche (classe, razza, etnìa, nazionalità), perdiamo forse l’opportunità di gettare nuova luce su questioni centrali in tutta la discussione storiografica di questi anni. Comprendere il significato dei sessi, dei gruppi di genere nel passato storico, ovvero della gamma dei ruoli sessuali e del simbolismo sessuale in società diverse in periodi diversi, può essere importante per far emergere relazioni, tensioni, conflitti finora invisibili, può aiutarci a individuare nuove ipotesi sulle forze che contribuivano a mantenere l’ordine sociale o a promuoverne il cambiamento.

Insomma, non si tratta solo di scoprire nuove aree di ricerca, magari di fondare nuove sub-discipline, ma di rivedere in chiave critica la problematica storica così come è stata socialmente costruita finora, con la consapevolezza (suggerita dalla lezione della storia delle donne) che si tratta di storia scritta dagli uomini, per gli uomini, sugli uomini. La women’s history ha affermato esplicitamente la parzialità del proprio approccio, mettendo in crisi la pretesa universalità della storia esistente. La storia«umana» è fin qui in realtà storia di uno solo dei due sessi e, precisamente, del sesso privilegiato. Mi pare che la men’s history neghi questa presunta universalità, e assuma la parzialità della esperienza storica maschile: così facendo, ne impone una rilettura. 

Affinché tutto ciò «faccia differenza» nella nostra comprensione del passato, sarebbe opportuno che studi di questo tipo si moltiplicassero, e soprattutto che si rompesse la barriera che separa una storia delle donne ormai matura dal resto dei praticanti la disciplina storica. A giudicare da un recente dibattito americano (fra Louise Tilly e Judith Bennet, su Gender, storia delle donne e storia sociale, tradotto nell’ultimo fascicolo di Passato e presenteil problema è presente anche fra le storiche delle donne, che pure in altre fasi avevano compattamente rivendicato un loro «separatismo». Con alcuni interrogativi interessanti: deve essere la storia delle donne, per diventare rilevante per tutti, a rispondere alle domande della storia cosiddetta generale? O piuttosto, non deve essere quest’ultima, per continuare a essere rilevante oggi, ad assumere come propri i quesiti posti dalla storia delle donne?

Probabilmente sarebbe ragionevole che i due percorsi si intrecciassero, arricchendosi a vicenda. Tuttavia, credo che per la maggioranza degli storici che ritengono di affrontare le questioni cosiddette generali (storici uomini, ma non solo), la seconda via sia la più urgente da percorrere, e soprattutto la meno deresponsabilizzante. La questione delle determinanti di genere (femminile e maschile) dell’agire storico non può più essere confinata agli «specialismi» sub-disciplinari, secondo la logica: loro pongono i problemi, loro ci diano le soluzioni. E’ invece una questione di tutti, perché attraversa tutti i campi di indagine storiografica, e tutti contribuisce a ridefinirli.

Categorie:Classroom, storiografia

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